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I Piani Urbani Integrati delle Città Metropolitane. I casi di Roma e Catania

10/02/2022

Esaminate le situazioni di Torino e Firenze e di Milano e Bari, la serie di articoli di approfondimento sulla realizzazione dei Piani Urbani Integrati da parte delle Città Metropolitane prosegue con Roma e Catania. Si tratta di un percorso previsto nell’ambito dell’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza: entro metà marzo le Città Metropolitane dovranno presentare i PUI al governo. Ciascuno di essi deve prevedere un costo non inferiore a 50 milioni di euro e riguardare prioritariamente la realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici ottenuti attraverso la riqualificazione di spazi e strutture di proprietà pubblica.

Roma, spiega Daniel Modigliani, componente del Consiglio direttivo della sezione Lazio dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, ha a disposizione per i progetti legati ai Piani Urbani Integrati 330 milioni, a cui si stima si può arrivare a sommare un 25 per cento in più proveniente dai privati. Come detto la Città Metropolitana che ha il compito di presentare i PUI al governo e nel caso di Roma “questa al di fuori della capitale ha affidato le progettazioni ai Comuni riservandosi il compito di raccoglierle e inviarle. Un percorso chiaramente limitato, che rivela i limiti della Città Metropolitana di Roma, senza strutture tecniche adeguate né collegamenti organici con i Comuni”.

Se dunque al di fuori della città di Roma la procedura è affidata a una raccolta dei progetti, la parte che spetta direttamente alla capitale, prosegue Modigliani, è gestita “attraverso un lavoro, a partire dall’identificazione degli ambiti su cui applicare i PUI, che dura da circa due mesi. La filosofia del decreto si basa sull’intervento sulle aree più sofferenti e degradate e vengono fissate delle scadenze serrate per la presentazione dei progetti: questi devono avere le premesse per essere approfonditi nelle successive fasi affinché siano realizzati entro marzo 2026. E’ evidente che si tratta di tempi fuori dalla portata degli uffici tecnici delle amministrazioni, perciò lo sforzo si è concentrato sulla raccolta di progetti già parzialmente elaborati che promettono di diventare procedimenti attuativi veri. In sintesi, una selezione di quelli che stanno nei cassetti. Poi bisognerà vedere se la somma di questi progetti riuscirà ad avere ricadute complessive su parti di città”.

A partire da queste premesse le verifiche hanno portato per il momento all’identificazione di tre ambiti. Il primo è a nord della città, l’area di Santa Maria della Pietà (ex ospedale psichiatrico), sede di attività pubbliche e direzionali dove ci sono ancora numerosi padiglioni dismessi da ristrutturare con i fondi del PNRR. L’intervento contemplerà anche la realizzazione di impianti sportivi ed il recupero degli spazi pubblici intorno all’ex ospedale psichiatrico. Proprio le procedure semplificate del PNRR dovrebbero, si confida, permettere di superare l’annoso problema dello spezzettamento delle proprietà e delle competenze.

Il secondo ambito individuato coincide con l’area di Corviale, nella quale sono finanziati interventi specifici di completamento e realizzazione di servizi pubblici intorno all’insediamento. Ci sarà un nuovo palazzetto dello sport, la ristrutturazione della biblioteca, la sistemazione di una piazza su cui affacciano edifici pubblici che saranno “riempiti” con un mercatino locale e con una sede della forza pubblica.

Infine l’ambito di Tor Bella Monaca, area in cui era già partito un progetto guidato dall’Università Sapienza che aveva ottenuto finanziamenti nell’ambito del Pinqua, che bastavano però a coprire solo una parte dei fondi necessari al completamento dell’intervento. Si tratta di completare l’intervento sull’edificio R5, al centro di Tor Bella Monaca. Poi è prevista un’estensione verso Tor Vergata, in cui rientra un’ipotesi di ristrutturazione della Vela (la struttura incompiuta progettata da Santiago Calatrava), che dovrebbe essere condotta dell’ente proprietario, l’Agenzia del Demanio.

Alla richiesta di una valutazione della procedura dei PUI, l’esponente di INU Lazio la definisce “asburgica, impone tempi e modi auspicabili, ma desueti. Speriamo che le amministrazioni ce la facciano a governare questi processi. Poi c’è da rilevare una contraddizione: i piani sono stati qualificati come urbani e integrati ma in realtà l’urbanistica è del tutto assente, non si occupano del rapporto degli interventi con la pianificazione e quindi con i contesti urbani. E’ un approccio deficitario per quanto riguarda la valutazione delle conseguenze urbanistiche”.

Paolo La Greca, componente del Consiglio direttivo della sezione Sicilia dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, fa notare alcune specificità: “La situazione in Sicilia è ancora più complessa a causa di alcuni ritardi: mentre nelle altre Città Metropolitane italiane è già stata avviata la costituzione degli organi e in alcuni casi sono stati approvati i piani strategici, qui ci siamo trovati in mezzo al guado perché solo di recente è stato stabilito che i sindaci dei capoluoghi diventassero anche sindaci delle Città Metropolitane. Uno slittamento che ha causato, a oggi, la mancata costituzione dei Consigli metropolitani”.

Un contesto di difficoltà a cui si contrappone l’oggettiva rilevanza delle risorse a disposizione dei progetti: Palermo e Catania sono rispettivamente quinta e sesta nella graduatoria nazionale. In generale, spiega La Greca, ci si trova di fronte a “una linea di finanziamento che non ha precedenti. Basti pensare che per un’iniziativa simile, quella della stagione dei programmi urbani complessi alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, venne stanziato l’equivalente di circa 35 milioni di euro, ma da dividere in cinque Regioni, undici Province, 58 Comuni”.

In questo caso, per rendere l’idea, la sola Città Metropolitana di Catania ha a disposizione 186 milioni. “Ci troviamo – sottolinea l’esponente di INU Sicilia - nella condizione estrema di dovere impegnare risorse ingenti in pochissimo tempo, e siamo in presenza a difficoltà enormi a mettere in  cantiere iniziative inquadrabili in strategie urbane definite. Rilevo che tra i problemi epocali del governo del territorio in Italia c’è stato lo storico disallineamento tra i piani e programmi e le reali possibilità economiche. In questo momento assistiamo a un capovolgimento: arrivano le risorse economiche ma manca la possibilità di produrre piani che diano una valida cornice di senso alle azioni che si intraprendono. Un altro aspetto di rischio è che le amministrazioni devono fare i conti con un'inadeguatezza strutturale di organico. Non ci dimentichiamo che il sindaco di Napoli, appena insediato, minacciò dimissioni in mancanza di adeguamento degli organici tecnici”.

In questo quadro di difficoltà e rallentamenti, a Catania il percorso è partito con la convocazione da parte del sindaco metropolitano dei 58 primi cittadini della città metropolitana. Ha presentato l’iniziativa e le opportunità dei PUI, invitando i Comuni a proporre progetti integrati rispondenti alle finalità del bando e che abbiano come riferimento gli ambiti territoriali già definiti dalla precedente pianificazione provinciale e confermati dal redigendo piano strategico. Il coordinamento è condotto dalla Città Metropolitana. Nella città di Catania, in particolare, si sta valutando sulla scelta tra due progetti: uno che punta alla rigenerazione di un’area centrale degradata del Centro Storico della città e un secondo che unisce a questo obiettivo una riqualificazione complessiva in chiave ecologica di una vasta porzione dell’area Sud della città.

C’è da rilevare in conclusione una carenza formale del bando che rende ancora più complessa l’attuazione del percorso dei Piani Urbani Integrati, laddove nel provvedimento del governo si indica di intervenire in aree che presentino indici di vulnerabilità sociale e materiale (IVSM) inferiori a quelli complessive delle città. Il problema è che l’indice l’Istat lo fornisce per le città capoluogo e non per quelle dell’area metropolitana, e che i “subindici”, relativi alle parti di città, sono disponibili solo per alcune città capoluogo, e di certo non per i centri più piccoli delle aree metropolitane.


Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica