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I Piani Urbani Integrati delle Città Metropolitane. I casi di Bari e Milano

04/02/2022

Dopo lo sguardo alle situazioni di Torino e Firenze, prosegue con Bari e Milano la serie di approfondimenti sulla realizzazione dei Piani Urbani Integrati da parte delle Città Metropolitane, percorso previsto nell’ambito dell’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza: entro metà marzo le Città Metropolitane dovranno presentare i PUI al governo. Ciascuno di essi deve prevedere un costo non inferiore a 50 milioni di euro e riguardare prioritariamente la realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici ottenuti attraverso la riqualificazione di spazi e strutture di proprietà pubblica.

Per quanto riguarda Bari è il presidente della sezione Puglia dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, Francesco Rotondo, a esprimere alcune riflessioni e valutazioni. La Città Metropolitana di Bari ha scelto di utilizzare le risorse a disposizione per un PUI, da costruire sulla base delle proposte e dei progetti richiesti ai Comuni, ciascuno dei quali li formula tenendo conto di una soglia massima di costo stabilita in base al numero di abitanti. Rotondo, pur apprezzando l'impegno che il gruppo di lavoro della Città Metropolitana sta promuovendo, è critico sul metodo utilizzato: “Si chiamano Piani Urbani Integrati, ma in tutta onestà a me sembra mancare sia la dimensione di pianificazione che quella di integrazione delle proposte, che dovrà essere cercata a posteriori, confrontando i progetti tenendo conto del riferimento costituito dalla Missione 5 del PNRR”.

Il problema, spiega il presidente di INU Puglia, è che essendo la Città Metropolitana di Bari priva di un piano urbano territoriale (esiste un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile adottato e il piano strategico metropolitano è in corso di redazione), “gli interventi non possono che essere non pianificati. I Comuni sono stati invitati a presentare progetti che rientrano in uno di tre macrotremi che rimangono generici”, nello specifico: identità, piano metropolitano di greening e rigenerazione smart delle periferie. Il territorio della Città metropolitana di Bari sconta quindi questo deficit di partenza mentre al contrario “gli enti che hanno costruito i piani come previsto dalla legge Delrio hanno potuto avvalersi di un coordinamento”. Ma in ogni caso secondo Rotondo è la stessa procedura generale a scontare una debolezza di impostazione, in quanto avrebbe dovuto stabilire a monte “una pianificazione territoriale o almeno individuare elementi di coerenza entro cui integrare le proposte progettuali. Pensare che si possa trasformare territori e città esclusivamente attraverso le opere pubbliche senza pensare che non ci sia bisogno di raccordo e pianificazione è sconcertante, e questo vale per tutto il PNRR. L’augurio è che nonostante questo difetto di nascita si arrivi a un risultato capace di essere condiviso anche se a posteriori. Appare difficile far partecipare i territori ai progetti selezionati: i tempi sono talmente stretti che chi non ha già iniziato il percorso di condivisione di fatto non ha il tempo di farlo”. 

Isabella Susi Botto, direttore del settore pianificazione territoriale della Città Metropolitana di Milano, descrive una situazione che conferma indirettamente quanto sostenuto da Francesco Rotondo: laddove, come nel caso di Milano, sono a disposizione strumenti di pianificazione ne beneficia la possibilità di coordinare gli interventi. I 277 milioni a disposizione della Città Metropolitana di Milano saranno, spiega Botto, distribuiti in quattro/cinque piani. L’attribuzione delle risorse è stata stabilita sulla base di un criterio di proporzionalità in termini di popolazione tra Capoluogo e Comuni metropolitani (che nel caso milanese pesa rispettivamente il quaranta e il sessanta per cento)  e “all’interno di questo criterio generale sono state definite linee strategiche che fanno riferimento al Piano strategico triennale 2019 – 2021,  al Piano Territoriale Metropolitano entrato in vigore nell’ottobre scorso e al Piano Urbano della Mobilità Sostenibile. Nello specifico ci sono due proposte direttamente redatte e curate dalla Città Metropolitana. Uno fa riferimento alla mobilità sostenibile (il progetto CAMBIO, ovvero il biciplan metropolitano, strumento di attuazione del PUMS), il secondo è un intervento, realizzato con il Consorzio dell’acqua potabile, legato al concetto della città spugna e che fa riferimento al drenaggio urbano sostenibile e alla desigillatura di suolo: interessa una trentina di comuni. Il valore di ciascuno dei due progetti ammonta a circa cinquanta milioni”.

Poi, prosegue la direttore Botto, “è stato sviluppato un progetto in collaborazione con i Comuni metropolitani che si colloca in continuità con la strategia territoriale metropolitana della rigenerazione urbana e che ha il proprio focus sulla riqualificazione e rifunzionalizzazione di spazi ed edifici di proprietà pubblica per definire servizi alla persona ponendo come modello la città dei quindici minuti su scala metropolitana”. E’ il progetto “COME IN - Spazi e servizi di inclusione per le comunità metropolitane”. Completano il quadro i due progetti che vedono il Comune di Milano come soggetto attuatore, tra cui uno sulla mobilità sostenibile, che investe anch'esso il territorio di diversi Comuni.

Per quanto riguarda la valutazione generale, Isabella Susi Botto dice di non considerare la procedura adottata “una novità quanto piuttosto una rarità. E’ sicuramente una prassi che si innesta sulle precedenti esperienze del bando periferie e di quello sulla qualità dell’abitare, con la Città Metropolitana che svolge una regia di interventi a rete sul territorio. Il fatto è che questa funzione di regia risulta di fatto confinata a esperienze che si contano sulla dita della mano ma potrebbero essere replicate in modo più efficace. In molti casi si riscontrano esperienze di Comuni che avrebbero l’occasione di accedere a finanziamenti ma risultano tagliati fuori perché, a causa delle loro dimensioni e possibilità, non hanno la capacità tecnica e gestionale per competere nei bandi. Il principio di equità territoriale dovrebbe guidare sempre le politiche di sviluppo”.

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica