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Il Piano territoriale metropolitano di Bologna, la sostenibilità attraverso le scelte

02/03/2023

Dopo Milano e Napoli prosegue il ciclo di articoli di approfondimento sui percorsi dei Piani territoriali metropolitani. La Città Metropolitana di Bologna vanta il primato, con l’approvazione del 12 maggio del 2021. Alessandro Delpiano, direttore dell’area pianificazione territoriale e mobilità sostenibile, spiega che alla base di questo Ptm c’è “la tradizione urbanistica della cultura bolognese che nasce nel 1967 con il piano urbanistico intercomunale e che elegge la dimensione territoriale come quella privilegiata per la tutela e lo sviluppo”. Proprio per questo, prosegue, il Piano di Bologna “si caratterizza per una forte connotazione sul versante delle scelte: non è né astratto, né strategico nel senso di generico, compie scelte di lunga prospettiva e di miglioramento concreto della realtà dai punti di vista ambientale, sociale ed economico”.

Il Ptm di Bologna si fonda su tre forti competenze. Delpiano le illustra: “Innanzitutto è la Città Metropolitana che stabilisce la quantità massima di suolo consumabile che non deve comunque superare il tre per cento del complessivo già consumato. Non accade in nessun’altra parte d’Italia, dove questa facoltà spetta ai Comuni. Anche la seconda competenza è un unicum: tutto il territorio rurale, e quindi le trasformazioni che lo riguardano, sono disciplinate dal Piano territoriale metropolitano che, e qui si viene all’ultima competenza, ha piena facoltà decisionale sugli oggetti sovracomunali, come la logistica, i centri commerciali, la mobilità tra comuni, le zone industriali, eccetera". 

Queste tre competenze nell’impostazione del Ptm di Bologna servono a compiere cinque scelte. Il direttore le elenca spiegandone approccio e filosofia: “Con le prime due si opta per uno sviluppo che da una parte stabilisce una tutela integrale del territorio rurale e dell'attività agricola, dall'altra di consumare al massimo la quota del tre per cento di suolo rispetto a quello già consumato, ovviamente rispettando determinati requisiti di sostenibilità. La terza e la quarta scelta consistono nel rendere gli interventi di rigenerazione urbana la dimensione ordinaria dell'urbanistica, mentre se emerge la necessità di un intervento straordinario, ovvero di consumare nuovo suolo entro il 3 per cento, questo può essere fatto solo dove sono presenti servizi alla persona (scuole, ospedali, commercio, eccetera) e fermate del trasporto pubblico metropolitano (SFM e tram). Vale la pena sottolineare che su 190 centri industriali nell’area metropolitana bolognese solo trenta presentano questa caratteristica, e altrettanti centri abitati su oltre duecento. E’ chiaro che si tratta di una misura che vuole contrastare fortemente la dispersione insediativa. Infine, la quinta scelta è di perequazione territoriale. Ogni trasformazione urbanistica produce oneri considerevoli, che per il cinquanta per cento devono confluire in un fondo da redistribuire ai Comuni che presentano progetti di rigenerazione urbana e che forniscono servizi ecosistemici, quindi aree di montagna e di pianura fragili sotto il profilo ambientale, sociale, economico e demografico". 

Delpiano rivendica la natura fortemente operativa dello strumento: “Dispone scelte molto nette, con l’obiettivo di affrontare le nuove sfide della nostra epoca, quelle della sostenibilità e della transizione ecologica. Lo sono ad esempio il divieto di fatto della trasformazione del territorio rurale per preservarlo a fini agricoli, l’applicazione dell’approccio della città dei quindici minuti attraverso il contrasto all’ampliamento dei centri privi di servizi, la condivisione delle risorse attraverso il fondo di perequazione, il divieto di insediamento di grande logistica, l’opposizione all’espansione indiscriminata delle aree industriali”.

Alla domanda generale sulle ragioni di una quota così bassa di approvazione dei Piani territoriali metropolitani a livello nazionale, Delpiano risponde mettendo in luce il quadro di “un Paese che ha ridotto notevolmente la propria cultura nel governo dell’area vasta. Basti pensare alla riduzione di ruolo e competenze delle Province avvenuta alcuni anni fa". 

 


Andrea Scarchilli - Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica