INUCOMUNICA

Il futuro dei Parchi passa dalle riforme e da una nuova attenzione

18/05/2022

Se è vero che la nuova fase aperta dell’emergenza pandemica sembra possa riservare nuove opportunità di sviluppo per i Parchi e le aree protette del nostro Paese, quello che manca al momento è una presa di coscienza politica a cui faccia seguito la scelta di investirvi. Lo dice con nettezza Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi: “Basta guardare allo stanziamento previsto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per le aree protette: si tratta di appena cento milioni, una quota irrisoria rispetto alla spesa complessiva, per di più riservata a un ambito particolare come la digitalizzazione. A questo limite si aggiunge quello di non considerare i Parchi regionali, che coprono una superficie complessiva analoga a quelli nazionali e rivestono un ruolo fondamentale per l’ambiente”. Per Sammuri si tratterebbe quindi innanzitutto di “aumentare le risorse destinate ai Parchi regionali e fare in modo che i Parchi nazionali abbiano la possibilità di spendere quelle che già hanno. Rileviamo vincoli burocratici enormi, e una differenza di trattamento rispetto ad esempio ai Comuni, per cui è stata prevista nel PNRR una deroga per l’assunzione di personale a cui si è aggiunto uno stanziamento supplementare di risorse. Noi come Federparchi chiediamo semplicemente per i Parchi nazionali la possibilità di assumere, senza chiedere ulteriori risorse. In alcune di queste realtà la carenza di personale è diventata gravissima. Basterebbe adottare il modello diffuso in Europa, dove i Parchi lavorano per budget, che gestiscono in modo autonomo”.

Quanto agli strumenti normativi, il presidente di Federparchi ritiene che la legge spartiacque, la 394 del 1991, sia fisiologicamente bisognosa di ritocchi, “visto che ormai ha più di trent’anni. Segnalo fra questi, oltre alla facoltà da dare ai Parchi di lavorare per budget, una semplificazione nei meccanismi della governance: in alcune situazioni fare le nomine è diventato molto difficile”. Il momento, come accennato, sarebbe quello giusto per lo scatto: “Nella fase pandemica le aree protette hanno rappresentato un bene rifugio, una circostanza testimoniata dall’aumento del turismo. Da parte nostra abbiamo messo in luce, attraverso seminari specifici a cui hanno partecipato esperti di livello internazionale, come stare in natura aiuti il benessere psicofisico”.

Una chance importante arriva dai contratti di fiume. Maurizio Gubbiotti (presidente dell’ente parco RomaNatura) coordina nell’ambito del Tavolo nazionale il gruppo di lavoro che si occupa proprio del rapporto tra Parchi e contratti di fiume, che è nato, spiega lui stesso, sulla base di alcune evidenze: “Il legame fra contratti di fiume e aree protette è costante. Difficilmente si trova un Parco in un territorio di contratto di fiume che non vi aderisce. Il secondo elemento da considerare è che diversi Parchi nascono nell’ambito dei percorsi dei contratti di fiume. Abbiamo voluto mettere a frutto questa convergenza per concentrare l’attenzione e il lavoro su alcune questioni, come la valorizzazione dei servizi ecosistemici, la regolamentazione delle aree contigue, lo status delle popolazioni e delle attività che si svolgono all’interno del Parco, come l’agricoltura e la zootecnia, che sono sottoposte a vincoli ma che devono ricevere in cambio benefici”.

In linea generale Gubbiotti vede “nuove prospettive. Oggi i Parchi che oltre alle sfide tradizionali della conservazione e della protezione della natura, della creazione della biodiversità, devono sapere raccogliere quelle sociali. Si può riuscire a farlo attraverso i servizi ecosistemici che forniscono, attraverso la capacità di migliorare la vita ed essere vicini ai bisogni delle persone. E’ una componente che è sempre stata presente, ma oggi c’è una consapevolezza maggiore. Per anni abbiamo mostrato gli studi del Cresme che registravano che le case vicino alle aree protette valgono di più, oggi l’attenzione è concentrata su studi medici che dimostrano che passare del tempo in un Parco fa bene alla salute. Una delle prime cose che abbiamo fatto come Federparchi, dopo la fase più acuta dell’emergenza, è stato un accordo con RomaNatura e Campus biomedico di Roma che ha prodotto un vademecum per tornare in sicurezza nei Parchi”.

Gubbiotti ha un “giudizio positivo sul dibattito sulla riforma sulla 394, ma forse ci si è concentrati troppo sulle governance e sulle procedure. La 394 va rivista: la legge nazionale sulle aree protette deve essere capace di non trattare solo i Parchi nazionali: Parchi regionali, nazionali e riserve marine devono essere un’unica cosa. Basti pensare che i parchi regionali sono attualmente fuori dalle zone economiche ambientali: la riforma è utile se affronta questi aspetti. C’è un evidente ritardo da parte della politica che dagli anni Novanta è stata molto meno attenta. I Parchi da parte loro non devono fare l’errore di chiudersi a fortino ma devono essere sempre più aperti”.

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica