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Nuove opportunità per l’urbanistica? Intervista al Presidente dell’Inu

27/04/2020

Nei giorni scorsi l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha lanciato “una elaborazione collettiva sulle vie di uscita dall’emergenza post Covid 19, e sui possibili scenari che caratterizzeranno la ricerca di strategie di rilancio delle città italiane”, chiamando a raccolta i suoi soci, e poi le Istituzioni, le amministrazioni locali, il mondo universitario e della ricerca, le associazioni culturali che si occupano di pianificazione del territorio, per l’elaborazione di contributi e proposte. Il presidente dell’INU Michele Talia ha risposto ad alcune domande.

Da dove nasce, e quali sono gli obiettivi, di una call che chiama in gioco l’urbanistica su una sfida di così ampia portata? 

E’ ormai evidente che il superamento degli effetti più traumatici del Covid 19 costituisce una sfida importante e drammatica per l’intera popolazione del pianeta. Per la disciplina urbanistica, poi, essa tende a rappresentare un’autentica frattura tra la fase immediatamente precedente lo scoppio dell’epidemia – in cui sembrava finalmente possibile modificare in modo sostanziale un paradigma socio-economico sempre più in difficoltà grazie al varo di un European Green Deal – e un processo di ricostruzione che rischia di compiere un’autentica inversione di marcia. Nel tentativo di ripristinare il vecchio ordine mondiale e i settori economici maggiormente investiti dalla crisi, è dunque possibile che un flusso straordinario di risorse, prevalentemente a debito, preluda ad un forte impulso alla restaurazione proprio mentre si diffonde la convinzione che “nulla sarà più come prima”.           

E’ innegabile che proprio le città siano l’epicentro di questa crisi, prima sanitaria e poi economica. E’ nelle città che la densità abitativa è più alta, è nelle città che è più difficile mantenere il distanziamento sociale, eppure sono le città stesse, sempre di più, il cuore della civiltà e del sistema economico contemporanei. E’ una contraddizione sanabile?

In linea di massima direi di no, almeno nel breve termine. Ma è forse proprio per questa impossibilità che l’urbanistica può rivendicare paradossalmente un ruolo determinante, concorrendo alla definizione della “giusta distanza” tra le minacce della promiscuità e le opportunità che si nascondono dietro la prossimità fisica e relazionale. Per svolgere fino in fondo questo compito di mediazione, la cultura della pianificazione ha bisogno di integrare l’approccio riformista che ha utilizzato finora per fornire risposte attendibili, ma circoscritte al campo della rigenerazione urbana, della dotazione urbanistica e territoriale o della configurazione degli spazi pubblici, ad una rinnovata capacità di proporre scenari e visioni a lungo termine. Questo ampliamento delle responsabilità dell’urbanista non corrisponde a nessuna specifica richiesta, ma a causa del vuoto di proposte che è possibile registrare nel dibattito politico attuale questo “sconfinamento” potrebbe risultare praticabile, se non addirittura accolto positivamente.       

Non si può fare a meno di notare che nella fase storica recente l’urbanistica abbia subito una difficile e sofferta retrocessione rispetto al cosiddetto dibattito pubblico. I temi che la riguardano, la fiducia nelle sue potenzialità, sono sembrati venire meno. Questo momento di crisi è anche un’opportunità per la disciplina di “rilanciarsi”?

E’ molto probabile che l’attuale emergenza sanitaria produrrà cambiamenti significativi anche nel modo in cui i cittadini tenderanno a rapportarsi con i portatori dei saperi esperti. Dopo una fase prolungata di perdita di fiducia negli specialisti, il carattere inedito e allarmante dell’epidemia ha comportato l’arresto del processo di disintermediazione che aveva lungamente operato negli anni passati, con la conseguenza di esaltare il prestigio e il potere di quanti – medici, scienziati e politici – erano in grado di fornirgli strumenti di comprensione, rassicurazione e soccorso.

Gli urbanisti non hanno finora conseguito alcun giovamento da questo differente atteggiamento dell’opinione pubblica, ed è probabile che non ne beneficeranno nemmeno in futuro se non usciranno dal cono d’ombra in cui sono finiti a causa di una prolungata eclissi dell’impegno civile e del protagonismo politico del progettista.

Questa opportunità di rilancio dell’urbanistica non potrà che passare dalle capacità di “assorbire innovazione”. In che modo secondo lei, e secondo quali direttrici?

Il contesto nel quale la disciplina urbanistica potrà operare una volta terminata la fase della emergenza più acuta avrà caratteristiche sostanzialmente inedite, così come senza precedenti è apparsa ben presto la situazione nella quale si sono trovate la società e l’economia mondiale dopo l’esplosione della pandemia. Si deve dunque agli elementi di novità con cui la pianificazione dovrà misurarsi se i vecchi rimedi non potranno essere applicati, ma si dovrà attingere a strumenti sperimentali e a tecniche di intervento di nuova concezione.

Un esempio particolarmente calzante di questa applicazione di processi innovativi è offerto dall’uso intensivo di apparecchiature tecnologiche compiuto dalla popolazione italiana durante i giorni dell’isolamento coatto, che ha consentito di sperimentare forme più o meno evolute di telelavoro, di educazione a distanza, di telemedicina che potrebbero offrire un riferimento fondamentale per la  redistribuzione delle principali funzioni di produzione e consumo e degli attrattori del traffico, al fine di consentire il superamento dei più rilevanti fattori di rigidità del sistema insediativo.

Ma i processi innovativi applicati al governo del territorio possono spingersi molto più in là, progettando ad esempio sistemi digitali integrati in grado di replicare virtualmente il comportamento di un sistema urbano, di seguirne e simularne lo sviluppo e di sottoporre ai cittadini le relative rappresentazioni al fine di ottenerne pareri più o meno vincolanti.  


Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica