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L’esperienza americana, dal social housing alla rigenerazione urbana

12/12/2023

E’ utile nell’ambito del ciclo di approfondimento dell’Istituto Nazionale di Urbanistica dedicato alle esperienze della rigenerazione urbana, aperto con il caso di Scampia, esplorare e analizzare il contesto degli Stati Uniti. In questo senso esperta osservatrice è Anna Laura Palazzo, docente di urbanistica all’Università Roma Tre, autrice del libro “Orizzonti dell’America urbana. Scenari politiche progetti” (RomaTrE-Press), vincitore lo scorso anno del Premio Letteratura Urbanistica nella sezione delle monografie.

Una delle peculiarità dell’approccio americano rispetto al nostro è costituita anche dall’assenza di una demarcazione netta, nell’azione e nell’osservazione, dell’ambito della rigenerazione urbana da quello dell’housing. Perciò tracciare una storia dell’evoluzione di quest’ultimo negli ultimi decenni, come fa la professoressa Palazzo, equivale a trarre indicazioni utili per entrambi i settori.

Negli Stati Uniti, spiega Palazzo, “l’accesso all’alloggio in proprietà o in locazione a canoni calmierati viene profilato dal presidente Roosevelt negli anni Trenta del Novecento, anni della Grande Depressione. Si tratta di un obiettivo prioritario che contribuirà a qualificare la nazione americana come portatrice delle quattro libertà di cui ogni persona al mondo dovrebbe godere - libertà di espressione; libertà religiosa; libertà dal bisogno e dalla miseria; libertà dalla paura - al cospetto del mondo in occasione della sua entrata in guerra contro le dittature europee (1941). Le iniziative di sostegno alla casa, incardinate originariamente nella Federal Housing Administration e nella Public Housing Administration, si sono progressivamente estese dallo affordable housing (alloggio a costi accessibili) allo spazio di prossimità e alle fondamentali prerogative del vivere associato nelle città: ne è prova l’istituzione sotto la presidenza Johnson dello Housing and Urban Department (HUD), un vero e proprio dicastero chiamato a provvedimenti di welfare locale con misure di sostegno alla persona, di inclusione sociale e formazione al lavoro: misure che interessano soprattutto i quartieri ghetto delle grandi aree metropolitane popolate da minoranze afro-americane e latine. Dagli anni Settanta, si verifica un arretramento dello stato federale, una devoluzione dei poteri in omaggio al principio di sussidiarietà che vede un maggiore protagonismo delle amministrazioni urbane. Nascono partenariati urbani tra città, attori del privato economico e Community Development Corporations, organizzazioni non-profit eterogenee per profili e dimensioni di impresa.  Le Community Development Corporations fronteggiano i problemi di discriminazione, povertà, mancanza di partecipazione dei cittadini, accedendo mediante bandi a fondi federali (Community Development Block Grants) erogati dallo HUD secondo criteri di gravità e urgenza: ne beneficiano i quartieri con indicatori di disagio e degrado superiori a soglie definite (riportate ai valori medi delle aree di riferimento), destinatari di servizi materiali e misure immateriali legate all’istruzione, all’occupazione, alla formazione di impresa”.

Si nota quindi la stretta connessione tra housing e iniziative di rigenerazione: “Accanto alle iniziative sotto il vessillo dell’urban renewal, leitmotiv della grande trasformazione urbana nel secondo dopoguerra, si afferma una nuova terminologia del riscatto orientata al sociale – empowermentinclusivenesscapacity building – espressiva del lavoro sulle comunità e con le comunità. Nel nuovo secolo, situazioni di gravi difficoltà (l’attacco alle torri gemelle, la crisi finanziaria scoppiata alla fine del 2006) accentuano la forbice delle disuguaglianze: la segmentazione della società statunitense su base territoriale in relazione al reddito costruisce un redlining de facto, che espone ulteriormente gli ambiti di concentrazione di povertà e disagio, disertati dalle attività economiche, dal commercio minuto legato alle necessità del quotidiano, dagli istituti di credito che non concedono mutui”.

La rigenerazione urbana, spiega l’autrice, si afferma e viene praticata a questo punto facendo leva su strumenti peculiari come “le misure di inclusionary zoning che prevedono la destinazione di quote di affordable housing in quartieri a reddito medio, in associazione con forme di aiuto alla persona, come le detrazioni fiscali e le opportunità di accesso al credito. Laddove il mercato immobiliare è vivace, in aggiunta a queste leve si è affermato il principio della ‘cattura del valore’ (land value recapture), che le amministrazioni utilizzano in virtù del potere di conformazione degli usi del suolo per finalità di interesse pubblico. Il principio cardine, esemplificato dal caso di San Diego, è connesso a forme di flessibilità associate alle trasformazioni ipotizzate che liberano risorse aggiuntive in denaro o in prestazioni: proprietari e promotori sono incentivati, piuttosto che obbligati, a fornire o mantenere attrezzature e servizi in cambio di incrementi di cubatura, variazioni di destinazioni d’uso e trasferimenti dei diritti edificatori.  La formula del voucher program viene poi in aiuto agli affittuari coprendo i costi di locazione eccedenti il 30% del reddito, e risiede nel sistema di robuste alleanze tra amministrazioni urbane, associazioni di proprietari convenzionati, industria tradizionale delle costruzioni impegnata nella realizzazione diretta di immobili distribuiti il più uniformemente possibile nei tessuti urbani. La regia di questi processi è spesso affidata al Community Planning, strumento di programmazione e pianificazione a livello di quartiere che condensa la formulazione di visioni, obiettivi, politiche e strategie a lungo raggio per raggiungere la sostenibilità sociale, economica e ambientale al fine di guidare lo sviluppo futuro delle comunità”.

Chiamata a ipotizzare pratiche ed esperienze del contesto americano che potrebbero rivelarsi utili anche nel nostro, Anna Laura Palazzo menziona “il carattere fortemente sperimentale delle politiche varate dallo HUD, testimoniato dal frequente ricorso a programmi pilota, che vengono successivamente perennizzati mediante linee dedicate di bilancio”; e segnala un orientamento pragmatico nell’affrontare il dilemma tra flessibilità e certezza connesso ai processi decisionali legati ai principi dell’agire strategico, “ponendo le prestazioni sostanziali attese in posizione di preminenza rispetto alle verifiche di conformità. La negoziazione ne è lo strumento cardine: i decisori tendono a negoziare con il privato economico soluzioni di comune vantaggio, per assicurare maggiori benefici alla collettività nel mandato di un’ampia discrezionalità e nel vincolo di una trasparenza scandita da incontri pubblici”. 

 

 

Andrea Scarchilli - Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica

 

 

In apertura Boston, Dorchester (foto di Anna Laura Palazzo)

Di seguito la registrazione video della presentazione del libro a "Urbanpromo Letture":