INUCOMUNICA

Sicilia, alla Consulta la norma “devasta centri storici”

17/05/2020

di Fausto Carmelo Nigrelli
Vicepresidente di INU Sicilia



Sono in questi giorni all’esame della Consulta le modifiche della legge regionale 13/2015 sui centri storici che, introdotte con un comma nella legge finanziaria del dicembre 2018, erano subito state impugnate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Un passaggio importante che rischia di passare sotto silenzio in un momento in cui l’attenzione di cittadini e media è concentrata sulla pandemia e sulle modalità della ripartenza.

La legge regionale 10.07.2015 n. 13 “Norme per favorire il recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici” aveva già suscitato perplessità e proteste da parte di urbanisti, architetti, ambientalisti per diversi motivi.

L’INU aveva sottolineato che essa separa il centro storico sia dal resto della città che dal territorio; che introduce ope legis – fatto del tutto inedito - delle tipologie edilizie basate su astratte classificazioni; e ancora che lo studio di dettaglio non si configura come uno strumento di pianificazione, ma come un semplice catalogo che potrebbe essere redatto anche da figure prive di ogni competenza urbanistica.

Inoltre, in numerosi comunicati diramati nei giorni immediatamente successivi, venivano sottolineati conflitti con la normativa nazionale (gli interventi sul patrimonio edilizio esistente definiti nelle leggi dello Stato sono diversi da quelli inseriti nella 13/15); con il Codice dei beni culturali e, in particolare, con gli articoli che riguardano i centri storici; perfino con la normativa paesaggistica siciliana, introdotta con le Linee Guida del 1999.

La legge prevede che venga richiesto il parere della soprintendenza per le manutenzioni e non per le ristrutturazioni (compresa demolizione e ricostruzione) che possono portare alla scomparsa definitiva di unità edilizie anche significative dal punto di vista urbanistico e perfino architettonico.

E’ questo proprio un grimaldello per procedere alla cancellazione dei centri storici.

Come se ciò non bastasse, tre anni dopo, con l’art. 3 comma 9 della Legge della Regione Siciliana 16 dicembre 2018, n. 24, che riguardava “Variazioni di bilancio”, venivano introdotte due modifiche che aggravano in modo evidente i possibili effetti nefasti della legge.

La prima introduce l’obbligo per i comuni di adeguare le  norme  di attuazione degli strumenti urbanistici attuativi già vigenti per i centri storici ai contenuti della legge 13. La seconda consente, “nel caso in cui l'amministrazione non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio” previsto dalla legge e relativo all'intero Centro storico, che il singolo privato possa sostituirsi al Comune proponendo uno studio di dettaglio circoscritto addirittura alla sola unità edilizia di cui ha la disponibilità e sulla quale vuole intervenire.

Con questo ulteriore passaggio, si perde ogni riferimento al centro storico come bene culturale e paesaggistico unitario e si introduce la possibilità dell’intervento singolo su iniziativa privata, ammantandolo di equivalenza al già debole “Studio di dettaglio” della legge 15. La pianificazione abbandona definitivamente il centro storico!

Anche in questo caso vi furono proposte soprattutto da parte degli ambientalisti, ma, soprattutto, vi fu la pronta impugnativa da parte del Governo nazionale e il ricorso alla Corte costituzionale che in questi giorni viene discusso.

Il ricorso presentato dal Governo si basa esattamente sulle questioni che erano state poste da chi si opponeva alla legge. In particolare si contesta il fatto che l'obbligo di adeguare i piani particolareggiati ai contenuti della legge 13 rappresenta “un completo superamento delle norme urbanistiche nazionali per le zone territoriali omogenee A - centro storico”.

Ancora più deciso l’intervento contro la norma che consente l’intervento sul singolo edificio. Con essa – contesta il Governo nazionale – si “consente la parcellizzazione in stralci  dello  studio di dettaglio, vanificando l'obiettivo di elaborare in forma organica per l'intero centro storico  criteri  omogenei  per  l'individuazione delle tipologie - e conseguentemente degli interventi possibili”. Inoltre contesta il fatto che “la decisione sui piani o gli stralci presentati resta demandata alla conferenza dei servizi prevista dalla legge” che può mettere in minoranza la Soprintendenza impedendole, dunque, di tutelare adeguatamente il centro storico come prevede il Codice dei beni culturali.

Nel ricorso viene sottolineato che la possibilità di affidare all’iniziativa del privato la definizione della tipologia edilizia ha gravi implicazioni poiché la collocazione dell’edificio in una o nell’altra categoria, in mancanza di un quadro generale riguardante il centro storico, rende facilissimo per il privato classificare l’immobile come “non qualificato” o “parzialmente qualificato”, con ciò ottenendo la demolizione dell’edificio senza alcun intervento possibile da parte della Soprintendenza

Una legge e una norma così negative per il futuro dei centri storici non hanno ancora prodotto danni solo a causa della contingenza di crisi economica che, già in corso al momento dell’approvazione della norma, si è protratta fino a queste settimane, aggravata infine dagli effetti della pandemia del Covid-19, ma rischiano di essere devastanti quando, come tutti auspichiamo, il Paese ripartirà, con una ingente quantità di denaro da investire.

Chiunque abbia a cuore il destino dei centri storici siciliani non può che condividere i contenuti del ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e auspicare che la Consulta cancelli le norme impugnate, che contrastano palesemente con gli articoli 134, 136 e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio le quali, correttamente, considerano il centro storico come un unicum all’interno del quale ogni modifica deve essere preventivamente verificata e inserita in un quadro di pianificazione attuativa volto alla tutela dei suoi caratteri specifici e perché confliggono con la normativa paesaggistica della Regione siciliana.