INUCOMUNICA

Vittorio Borachia, l'Inu, l'urbanistica

14/08/2015

Due ricordi di Vittorio Borachia, il suo rapporto con la disciplina l’urbanistica e l’Inu, di cui è stato un dirigente appassionato. 

Non è più con noi l’ispida, intransigente, maieutica incombenza di Vittorio Borachia, maestro a sua maniera di politica e d’urbanistica, fattori indivisibili nel senso che, per il professore, politica era onestà e urbanistica era onestà formalizzata. In politica e in urbanistica per lui, socialista riformista, il comun denominatore era «conoscere», come guida della decisione e popperiana prova di falsificazione di tanti azzardi che hanno purtroppo minato La domanda di piano, titolo del volume pubblicato nel 1995 da Franco Angeli prima di lasciare, per quiescenza, l’amato Politecnico di Milano, dove aveva concluso la carriera dirigendo la Scuola di specializzazione in Pianificazione del territorio e dell’ambiente. Alla conoscenza aveva appunto dedicato molti sforzi fondando l’Ilres (Istituto Ligure di Ricerche Economiche e Sociali) negli anni Sessanta, dirigendo innovative ricerche sullo spreco di suolo in seno ai progetti finalizzati Cnr Ipra (Incremento Produttività Risorse Agricole) e Raisa (Ricerche Avanzate per Innovazioni nel Sistema Agricolo), negli anni Ottanta e, nel frammezzo, redigendo piani di un’accuratezza mai vista e di un’efficacia esemplare (tra cui, inimitabile, il – malauguratamente rimasto alla stadio di proposta ma da tutti ritenuta «guida ombra» per gli strumenti comunali – piano territoriale del Bracco, del Mesco, delle Cinqueterre e di Montemarcello. E, poi, Borachia amava oltre ogni dire l’Istituto Nazionale di Urbanistica: presidente dell’Inu Liguria e consigliere nazionale dagli anni Sessanta fino al 1991, la voce vibrava nel comunicare (nella soffitta col prof. Santi, cognato e praticamente convivente) che l’indomani sarebbe stato a Roma «al direttivo». E, ancora, schivo oltre ogni ragionevole sembianza, pretendeva altrettanta parsimonia comportamentale anche da chi con lui collaborava: quando Campos Venuti lo raggiunse per telefono nel municipio di Pontremoli (dove Borachia e io stavamo badando ai calcoli del piano regolatore), nel 1993, e gli chiese cosa pensasse d’una mia veste di direttore d’Urbanistica Informazioni, Borachia certo assentì ma, finita la telefonata, s’accertò che non avessi velleità di scrivere «editoriali» perché occorre «servire l’Inu, non farsi pubblicità attraverso l’Inu»; così come, quando Silvano Tintori (suo sodale di tanta didattica e di tante proteste dopo la sospensione del Consiglio di Facoltà di Architettura, nel 1971) e io gli organizzammo a scuola la festa del pensionamento, col regalo del famoso cannocchiale da marina d’antiquariato (che quasi nessuno contribuì a pagare, sicché dovemmo addossarci l’intera spesa), ombroso com’era andava ripetendo che non l’avremmo certo pensionato noi, perché era dei vecchi ruoli e gli rimanevano ancora degli anni d’insegnamento. E come dimenticare il suo imbarco sui battelli inglesi, a far la guerra ai nazisti. Insomma, va via la generazione che ha fatto il Paese, fra un po’ andremo via noi che abbiamo goduto del loro ombrello protettivo, e rimarranno quelli della «città di torri e di obelischi che disconosce il piano», come appunto ebbe modo di scrivere Borachia: un bel risultato, per uno che sul piano ha fondato tutta la sua vita.

Pier Luigi Paolillo

 

Vittorio è uscito in silenzio dal nostro Politecnico è oggi che non c’è più ci fa rifletter e sulla strada percorsa insieme. Vittorio Borachia ci ha accompagnato per un tratto importante del nostro percorso  formativo prima della laurea e dopo quando è stata una presenza  attiva in occasione di tante scadenze e di tanti momenti  istituzionali e professionali  con le sue posizioni al di sopra delle parti. Quando qualcosa non gli andava tendeva a far capire il disappunto con il suo “e, sciao !”. Tanti sono i momenti in cui il suo contributo è da ricordare: nei convegni dell’INU e negli incontri internazionali dell’AESOP, nell’istituzione dei dipartimenti e nelle tensioni interne alla Facoltà di Architettura e poi nella sua ripresa fino alla stagione della sua articolazione in più sedi; e, ancora, il suo impegno nell’istituzione del primo dottorato inter-sede in Pianificazione Urbanistica e Territoriale tra Torino, Milano e Venezia e del primo Master post laurea in Architettura e Pianificazione Territoriale; e, per finire, la sua attività professionale  come quella per il Piano Regolatore Generale di Porto Venere e quelle della sua partecipazione al progetto del Quartiere Feltre a Milano- Lambrate e ai primi studi per il PRG e per PTCP di Mantova. Ma, oggi, in un momento in cui è il relativismo dei valori che impera e le università sono sottoposte a una contrazione dei costi con tagli senza progetto, ti siamo debitori soprattutto della tua ostinata perseveranza nel sottolineare il contributo positivo che il progetto di urbanistica può dare alla città con un buon piano: non importa se applicato a un singolo comune o a un’altra dimensione amministrativa, importa se individua un luogo con la sua storia, le sue caratteristiche fisiche ,sociali e economiche, le sue relazioni con il contesto e il significato dei segni delle permanenze incorporate nel suo paesaggio come è ben detto nel testo “Territorio sistema complesso”. In quella sua perseveranza rivivono i richiami dei grandi architetti della nostra storia e dei personaggi della cultura internazionale, non solo di matrice anglosassone, di cui Vittorio ci indicavi gli autori e l’opportunità di conoscerne i progetti e gli scritti. Rimane un ricordo tutto personale di un anno ormai lontano. E’ giorno di Lauree nella Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, un giorno, non come altri per la presenza di agitazioni e di controlli agli accessi. Devo sostenere l’esame di laurea ma non mi fanno passare, forse sembro troppo giovane, certamente sono molto piccola: il mio lasciapassare sarà Vittorio Borachia che con il suo consueto stile è riconosciuto subito come un autorevole professore.

Maria Cristina Treu