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Trasporti, l’ora delle scelte strategiche. Intervista al coordinatore della Community INU

15/01/2021

Il mese scorso la Community dell’Istituto Nazionale di Urbanistica "Mobilità, infrastrutture e logistica" ha elaborato e diffuso un documento che esamina i rapporti tra l’assetto territoriale delle infrastrutture di trasporto, la pianificazione territoriale e quella dei trasporti. Alla luce dell’approvazione da parte del governo del Piano nazionale di ripresa e resilienza, risulta oggi utile ripercorrerne i contenuti assieme al suo coordinatore Alberto Rutter. Si tratta infatti di un comparto strategico per il rilancio del Paese nella fase post – pandemica, e per la transizione a un nuovo modello economico e sociale.

Si parte da una “debolezza strutturale” del nostro Paese, ovvero il peso preponderante oggi rivestito dal trasporto privato su gomma, che, spiega Rutter, “corrisponde allo squilibrio modale dei trasporti sviluppatosi in Italia a causa di precise scelte e politiche economiche, consolidatesi negli scorsi decenni, sin dal boom della motorizzazione privata del XX secolo. L’automobile, iniziale simbolo di versatilità e di libertà di circolazione individuale e famigliare, svincolata da orari,  divenne ben presto, da soluzione intelligente un’illusione indotta, a causa dell’aumento del traffico urbano, suburbano, ecc. L’Italia è, oltretutto, un Paese caratterizzato da un tessuto di realtà urbane antichissime, da città medie e piccole, assolutamente non adatte, in quanto non omologate alla circolazione dell’automobile. Insediamenti che, con il tempo, vennero sottoposti a un assedio, alterati da fenomeni quali il parcheggio irregolare o selvaggio: amene vie e piazze di queste realtà urbane vennero frequentemente individuate come sedi di posti macchina. L’automobile inquina chimicamente, acusticamente, ma anche volumetricamente e, quindi, paesaggisticamente, alterando lo spazio urbano, compromettendo l’estetica e le prospettive urbane. Fenomeno diffuso, pensando che, nel nostro Paese, a fronte di circa sessanta milioni di abitanti, circolano più di quaranta milioni di autoveicoli. E' facile quindi inquadrare le dimensioni del problema. Poteva essere giustificato, decenni fa, promuovere l’uso dell’automobile, sinonimo di affrancamento, libertà, autonomia, ma la sua attuale diffusione fa ritenere che quei vantaggi risultino compromessi. La parentesi pandemica sta favorendo un’alterazione negli usi e costumi, che ricomprendono anche le abitudini e le opzioni degli spostamenti, per lo meno a livello urbano e suburbano: da un lato si sta riconsolidando la scelta dell’auto privata, dall’altro quella della mobilità dolce. Non è tuttavia improbabile ritenere che la scelta e l’uso dell’auto privata, per motivi socioeconomici, in avvenire possano ridimensionarsi”.

Il coordinatore della Community dell’INU afferma esplicitamente che la soluzione per il riequilibrio modale dei trasporti debba identificarsi con il potenziamento e lo sviluppo del trasporto collettivo, in particolare quello su ferro (o comunque alternativo alla gomma): “A causa delle inevitabili conseguenze della crisi economica sui redditi individuali, potrebbe, nel prossimo futuro, tornare a identificarsi come opzione più diffusa tra coloro che dovranno quotidianamente spostarsi”. Occorrerebbe recuperare terreno: sempre mantenendo il focus sul trasporto su ferro, Rutter ricorda come “a partire dagli anni Cinquanta e fino agli anni Ottanta del secolo scorso, come per ben precise scelte si privilegiò la mobilità su gomma, si distrusse parallelamente una parte rilevante della dotazione infrastrutturale ferrotranviaria. Nel corso di quei quei decenni vennero eliminati seimila chilometri di ferrovie e linee tranviarie”. Un altro fenomeno ed alternativa da valorizzare attiene alla mobilità dolce ma “senza penalizzare le altre modalità di trasporto collettive. Un errore che si sta commettendo in diverse realtà regionali è quello di smantellare le linee su ferro ancora fisicamente esistenti per convertirle a ciclovie. I modelli da tenere presente sono quelli del felice connubio dell’Alto Adige e, tra i Paesi comunitari, dei Paesi Bassi, dove linee ferroviarie e ciclovie coesistono tanto bene da rendere il cicloturismo un’opzione e una rilevante risorsa economico-territoriale”.

Nel documento della Community dell’INU, si fa anche riferimento a una modalità trascurata, il trasporto acqueo: “Non dobbiamo dimenticare che l’Italia è un molo naturale che si protende nel Bacino Mediterraneo e perlomeno durante una determinata fase dell’anno solare (da maggio ad ottobre, per esempio) il trasporto collettivo acqueo potrebbe contribuire a decongestionare autostrade e ferrovie. Bisognerebbe scommettere di più su questa scelta modale di trasporto, diversificandola in rotte di frequente cabotaggio e rotte di media - distanza. Già venticinque anni fa – spiega Rutter –  ricerche misero in evidenza la presenza di una potenziale domanda lungo tutta la costa dell’Adriatico Occidentale e dello Ionio, indicazioni che meriterebbe tornare a verificare”.

Molteplici risultano, quindi, in sintesi le possibilità di intervento e di miglioramento, configurandosi come un vero e proprio cambio di paradigma delle abitudini e delle domanda di spostamento e della dotazione infrastrutturale di trasporto, da cui non può essere escluso il contributo della pianificazione urbanistica e territoriale. Il documento della Community INU chiama in causa le potenzialità del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS), che però, auspica il coordinatore della Community dell’INU, “dovrebbe essere ripensato o sostituito da un nuovo strumento urbanistico, in prospettiva di una sua unificazione ed integrazione con il piano urbano della mobilità e con il piano urbano del traffico”.

Un’ultima considerazione riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza e i contenuti che riguardano le infrastrutture e trasporti, dove si è puntato molto sul potenziamento del sistema ferroviario ad Alta Velocità. “Quello che mi preoccupa - dice Rutter - è il rischio che le reti ferroviarie convenzionali e secondarie vengano trascurate o dimenticate, come in parte è avvenuto nel recente passato, fenomeno controbilanciato da una ripresa di servizi di media - lunga distanza anche sulla rete ferroviaria convenzionale, negli anni precedenti all’emergenza sanitaria. La prospettiva dovrebbe essere quella di una rete ferroviaria integrata, strutturantesi su tre tipologie interdipendenti: la rete ad Alta Velocità, la rete convenzionale nazionale e le reti secondarie regionali, costituendo reciprocamente subsistemi di adduzione e integrazione ai servizi ed alle funzioni di ciascuna”. Seguendo questo approccio, Rutter rileva anche “la mancanza di obiettivi, quali il permettere la fusione della dotazione infrastrutturale e dei servizi della rete ferroviaria secondaria con i servizi urbani, suburbani e di area vasta, connettendo anche i nodi ferroviari ove si attestassero l’Alta Velocità e/o le linee principali convenzionali. In questo contesto è interessante la soluzione fornibile tramite i dei servizi tram - treno, sul modello delle fortunatissime esperienze compiute in Germania e in Francia”. Di certo, conclude Alberto Rutter, “il depotenziamento del trasporto su ferro è un errore che paghiamo nel nostro Paese. Oggi, anche a scala urbana, suburbana, ecc., rappresenterebbe una delle alternative migliori, tenendo conto delle esigenze di distanziamento sociale, che si sarebbero avute con una maggiore disponibilità di trasporto su ferro. I treni urbani ed i tram moderni garantiscono una capienza assai maggiore rispetto a quella dell’autobus extraurbano e dell’autobus urbano, ricordando che, in condizioni normali, la capacità di un treno regionale possa garantire quella di almeno sette corriere e che il tram più lungo oggi sul mercato quella di quattro - cinque autobus. In molte regioni sarebbe stato probabilmente più facile, per fare un esempio, riuscire a tenere aperte le scuole”.

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica