RASSEGNASTAMPA

Prevenzione, il modello Trentino

20/11/2014

In Italia il ritornello delle lamentele e delle polemiche è sempre uguale a sé stesso ogni volta che si verifica una frana o alluvione conseguente ad un evento meteorico neppure troppo eccezionale. La colpa è dei condoni, della corruzione che non fa partire le opere, della burocrazia, dei politici ecc. ecc. Poi tanto per liberare un po’ la coscienza, qualcuno aggiunge che è anche “colpa” del tempo, parlando di cose inesistenti come la tempesta perfetta, la bomba d’acqua, anche se le statistiche puntualmente ci riportano altri casi analoghi di livelli di pioggia accaduti in passato. Un Paese che non è più in grado di capire che la natura non è per definizione sempre uguale a sé stessa. Tutto quello che è anche di poco superiore alla media statistica oggi sta diventando “evento eccezionale”. Come se la natura dovesse sottostare al volere dell’uomo: cioè 22 gradi sempre e piogge solo qualche lunedì possibilmente non la sera che c’è la movida. La realtà purtroppo (o per fortuna) è diversa, e soprattutto è diversificata.

Ma è doveroso segnalare che tra le nell’elenco delle province coinvolte in questa ondata di frane e dissesti, non vi è il Trentino. E non vi è stato per tutto l’anno. Eppure la pioggia è caduta abbondante anche in questa provincia, e anche qui ci sono torrenti e fiumi che in passato hanno esondato e sono monitorati costantemente. Ma perché nessuno in Italia si chiede come mai in Trentino il territorio non frana così fragorosamente, o perché i torrenti non esondano? Perché il Veneto non si chiede come mai c’è emergenza per tutti i grandi fiumi, ma l’Adige è quello che desta minori preoccupazioni? Dov’è finita tutta l’acqua che è caduta in Trentino? Perché non si riversa tutta in un colpo a valle come accade col fiume Po minacciando le aree verso il delta? Queste domande sarebbe il caso che i politici ed i governatori regionali se le ponessero, anziché puntare il dito verso i presunti privilegi dell’autonomia provinciale quando c’è il sole e il clima è mite.

Domande che hanno una risposta semplice e diretta: i trentini hanno saputo oculatamente preservare il territorio, portando avanti una politica di prevenzione e manutenzione grazie anche all’autonomia. Ovvero grazie al fatto che la provincia non ha dovuto sottostare ad una dissennata legislazione nazionale in tema urbanistico, pensata solo per le zone di pianura o le grandi conurbazioni e pertanto inadatta alla realtà alpina. Una politica legislativa inattuabile che ha devastato il territorio italiano (i risultati sono evidenti). Va ricordato che invece la Provincia Autonoma di Trento ha competenza legislativa primaria in materia urbanistica fin dal 1948 , e pertanto il Trentino ha potuto emanare le leggi ben tarate e mirate sulla realtà alpina.

Il prodotto più significativo di questa podestà legislativa si è avuto con i pup (piano urbanistico provinciale), tra cui è bene ricordare prima quello voluto nel 1962 dal presidente della giunta provinciale Bruno Kessler coordinato da Giuseppe Samonà che in questo modo poté riprendere e sperimentare i temi di quel “codice dell’urbanistica” redatto pochi anni prima con Astengo  che si era arenato alla vigilia dell’approvazione il Parlamento. Gli obiettivi di quel PUP erano la:  “promozione economica delle zone periferiche”, essendone duplice ispiratore l’economista Nino Andreatta, ma con zone periferiche essendo in una regione alpina si intende ovviamente le valli e le montagne.

In seguito va annoverato in particolare il PUP voluto dal vicepresidente della Provincia di Trento Walter Micheli del 1988, redatto da Franco Mancuso. Un documento che ha fatto della tutela del territorio e dell’ambiente una bandiera e una risorsa. Oggi quel PUP è ricordato soprattutto come: “quello dei biotopi” e la loro inviolabilità. Ma i biotopi allora come oggi rappresentano il simbolo di una montagna che assorbe e restituisce acqua. Non c’erano evidentemente (e fortunatamente) solo i biotopi in quel PUP, ed oggi il Trentino può ringraziare un politico avveduto e coraggioso come Micheli, che ha saputo anteporre l’interesse diretto ed immediato ad una visione di territorio a lungo termine.

E’ vero che il PUP di Micheli e Mancuso è nato sull’onda emotiva della tragedia di Stava di tre anni prima (19 luglio 1985), ma è altrettanto vero che da quel disastro dovuto a dissesto idrogeologico è nata una nuova maggioranza in Consiglio provinciale, ma anche una nuova presa di coscienza della fragilità di un territorio, e della necessità di tutelarlo. Le ricadute che quel piano considerato all’epoca da molti “eccessivamente vincolistico”, oggi sono la tenuta del territorio a fronte di eventi meteorici molto sopra la media, e la riduzione drastica dei rischi. Stava ha rappresentato un tragico campanello di allarme proprio dell’aggressione che il territorio stava subendo, ed il Trentino ha capito che era vicino il punto di non ritorno, quello che purtroppo stanno vivendo sulla loro pelle le popolazioni delle zone oggi sommerse da fango e detriti come lo furono gli abitanti di Stava. Vittime dell’aggressione alle risorse collettive, che come conseguenza porta solo al degrado.

Gli stessi condoni oggetto di polemica tra il Presidenti di regione e Presidente del Consiglio, in Trentino hanno avuto un impatto molto relativo, poiché da condonare ci sono stati per lo più dettagli architettonici. Le leggi erano applicate perché ben congeniate e soprattutto facilmente applicabili. I condoni hanno riguardato soprattutto finestre con dimensioni diverse da quelle autorizzate, qualche mansarda o poco altro. Rarissimi i casi di edifici abusivi, men che meno quartieri interi sorti su aree classificate come “esondabili” o “a rischio idrogeologico”.

Sono passati quasi trent’anni dalla tragedia di Stava e poco meno dal PUP di Walter Micheli. Il bilancio di quelle scelte che oggi stanno salvando il territorio della provincia di Trento e con esso probabilmente molte vite umane va fatto. E soprattutto va mostrato a tutti gli italiani che ora piangono dissesti, vittime e danni, e che hanno additato la Provincia Autonoma di Trento come un luogo privilegiato, cosa significa capire la differenza morfologica, culturale, storica fra i territori. Ricordando loro che grazie all’autonomia (e come i trentini l’abbiano usata), non si è salvata solo questa terra, ma anche le province bagnante dai fiumi che scendono dalle montagne del Trentino.

Maurizio Tomazzoni
Socio Inu, sezione Trentino