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Ischia e l’Italia che non sa ancora contrastare la fragilità del suo territorio. Parla Luana Di Lodovico

02/12/2022

Sulla frana che si è abbattuta a Ischia a Casamicciola il 26 novembre scorso, causando undici vittime, e sulla necessità di un cambio di passo nelle politiche di contrasto alla fragilità sismica e idrogeologica del nostro Paese, parla Luana Di Lodovico, responsabile della Community dell’Istituto Nazionale di Urbanistica “Politiche e interventi per la difesa dei suoli e vulnerabilità sismica”.

A leggere le cronache della tragedia di Ischia, sembra di trovarsi di fronte a una sorta di terribile sintesi di incapacità di adottare le misure necessarie a contrastare il dissesto. A cominciare dall’assenza, a Casamicciola, di un piano urbanistico. Quanto ha influito questo elemento?

Ischia è l’ennesima tragedia che colpisce questo Paese fragile e spiace parlare di pianificazione, mitigazione, prevenzione dai rischi solo all’indomani dell’ennesimo disastro. Il caso di Ischia è sicuramente emblematico: si tratta di un evento caratterizzato da dissesto idrogeologico i cui effetti sono stati aggravati a causa dai cambiamenti climatici, e a cui si è sommato un quadro connotato dalla presentazione di un numero elevato di istanze di sanatoria edilizia straordinaria. La combinazione di questi elementi con l’assenza di una pianificazione urbanistica ordinaria e con una scarsa manutenzione del territorio ha comportato le tragiche conseguenze che conosciamo. Anche in assenza di un piano ordinario l’attività edilizia dovrebbe tuttavia essere normata dal Testo unico dell’edilizia, che fa riferimento alla pianificazione paesaggistica vigente o almeno alla pianificazione sovraordinata a quella comunale. L’assenza di piano ha determinato uno sviluppo edilizio disordinato sul territorio di Ischia e la realizzazione di una quantità molto significativa di case e strutture abusive. Parliamo di sei Comuni che non riescono a collaborare per una pianificazione di area vasta: si è preferito assecondare un sistema, spesso connesso al turismo, che mette assieme abitazioni e in generale immobili realizzati in molti casi in aree a rischio idrogeologico, come quella colpita: la carta del rischio idraulico aggiornata al 2015 prodotta dall’Autorità di Bacino della Campania centrale ci dice che le abitazioni coinvolte erano a rischio frana. Se ci fosse stato un piano urbanistico sostanziato da un quadro conoscitivo delle pericolosità presenti probabilmente la conclusione di questo evento sarebbe stata diversa.

Fa anche impressione constatare che in un territorio particolarmente fragile, esposto alle frane ma colpito ripetutamente anche da eventi sismici, il sistema di allerta si sia rivelato inadeguato. Tanto da ignorare ripetuti allarmi, precedenti l’evento, lanciati da un ex sindaco. Si poteva fare meglio? Quali strumenti dovevano essere messi in campo?

Quando parliamo di fragilità territoriale parliamo di rischio, che è il prodotto di tre elementi: pericolosità, vulnerabilità e dell’esposizione. Le pericolosità sono le fragilità presenti sul territorio, sia naturali che antropiche, come quelle legate ai trasporti, o alla presenza di industrie. La vulnerabilità dipende da diversi elementi tra cui la corretta applicazione della normativa, l’abusivismo, la manutenzione, l'età delle abitazioni, la capacità di comprendere il pericolo da parte della popolazione. Per esposizione intendiamo chi e cosa è esposto a quella tipologia di rischio, che non è mai zero. E’ importante che ci sia una cultura del rischio e della prevenzione: per svilupparla occorre lavorare sul sistema di pianificazione pre – disastro e pianificazione dell’emergenza, come ribadito nel nuovo codice di Protezione civile. Si tratta di attività fondamentali anche per assicurare il raccordo informativo e di comunicazione tra le strutture preposte all’allertamento del servizio nazionale, e vanno concertate con la popolazione. Si capisce quindi l’importanza della formazione degli amministratori e dei cittadini. Si sta lavorando molto sul sistema di pre – allertamento, caratterizzato dai livelli indicati dai colori diversi che stiamo imparando a conoscere. Si sta inoltre lavorando tanto a livello di Protezione civile sui sistemi di allerta per mettere il nostro Paese ai livelli standard dell’Unione europea, e fa ancora perciò ancora più rabbia che in un territorio pregiato come quello di Ischia, nello specifico Casamicciola, oltre a un piano urbanistico manchi anche la base costituita da un piano di emergenza aggiornato.  

Appare inoltre evidente che da un lato la scarsa manutenzione del territorio, in primo luogo la disattesa ripulitura dei canali che dirottavano l’acqua, dall’altra la mancata realizzazione delle opere di protezione abbiano avuto un ruolo nell’aggravamento. A questo si aggiunge un abusivismo edilizio particolarmente diffuso. Tenuto conto della citata fragilità dell’area, dove quindi gli interventi sono ancora più urgenti, c’è da rilevare che il cambio di passo nella difesa del territorio nel nostro Paese ancora non avviene. Il PNRR destina poche risorse allo scopo, i fondi sono frammentati, si riscontra un ritardo nell’approvazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, su cui ha scritto con efficacia Simone Ombuen solo poche settimane fa, oltre che lo smantellamento di una struttura centralizzata come Italia Sicura. Come mai si fa fatica ad assumere la prevenzione e la protezione dal rischio sismico e idrogeologico come una priorità, nonostante i ripetuti eventi tragici? Avevamo ancora negli occhi le terribili immagini dell'alluvione nelle Marche, del settembre scorso. 

Va rilevato che dal 2013 al 2022 lo Stato ha speso per le emergenze circa 13,3 miliardi di euro: è una cifra che fa impressione e che sarebbe stata contenuta investendo sulla prevenzione. Il problema è che mancando la programmazione diventa arduo far atterrare fondi e progetti anche ben fatti sul territorio, anche a causa di un sistema burocratico che non aiuta a realizzare questo tipo di interventi in tempo ordinario. Bisognerebbe lavorare tantissimo per adottare un approccio di prevenzione e manutenzione che sia sistematico; conosco per averlo approfondito attraverso l’attività del mio gruppo di ricerca il metodo del cosiddetto disaster risk management, un sistema di prevenzione, protezione e mitigazione integrato e multiscalare. Bisogna cioè agire su più livelli, dal miglioramento delle conoscenze tecniche attraverso l’utilizzo anche delle nuove tecnologie agli interventi di rafforzamento degli edifici, arrivando a farne una condizione necessaria. Poi sono importanti il monitoraggio, la redazione e l’aggiornamento dei piani di Protezione civile (che andrebbero verificati sul campo), che è necessario ogni due anni, la sensibilizzazione della popolazione, degli amministratori e dei tecnici comunali, la semplificazione di quello che, ripeto, è un apparato burocratico troppo pesante, visto che si tende a scaricare responsabilità e compiti esclusivamente sui tecnici e che spesso si opera, visti i tempi, con piani e programmi urbanistici che al momento dell’approvazione sono già vecchi. Occorrerebbero pochi strumenti ordinari ed efficaci che agiscano per ridurre il rischio; la pianificazione dovrebbe essere flessibile ed efficace, in grado di agire tempestivamente su più livelli: un requisito di cui tenere conto anche nella nuova proposta di legge sul governo del territorio che l’Istituto Nazionale di Urbanistica sta portando avanti. La prevenzione non porta voti, non si vede, ma dà senz’altro benefici a lungo termine. Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza c’è da rilevare con sconforto che benché in Italia oltre 7400 Comuni presentino un rischio idrogeologico alto e quasi tutto il territorio italiano sia a rischio sismico se ne tenga pochissimo conto attraverso il necessario finanziamento degli interventi. E’ importante il ruolo dei bonus edilizi per la transizione ecologica, ma dovrebbero contenere e prevedere anche l’adeguamento e il miglioramento del patrimonio costruito dal punto di vista della sicurezza. A questo poi si dovrebbero affiancare piani e regolamenti urbanistici snelli, flessibili, che non blocchino l’atterraggio dei progetti sul territorio. I fondi per la mitigazione dei rischi e la prevenzione in Italia ci sono: questa ennesima tragedia può essere l’occasione di un nuovo lavoro di programmazione, il cambiamento climatico ce lo impone con sempre maggiore urgenza.

Anche il capo della Protezione civile ha ricordato che una larghissima parte del territorio italiano è fragile. Ci sarebbero le condizioni per sperimentare un cambio di rotta, sempre più urgente dato che come ricordato il cambiamento climatico tende ad accentuare la pericolosità degli eventi estremi, oltre che ad aumentarne la frequenza. Dove intervenire, con quali priorità?

Ai dati che ho citato prima va aggiunto che il 13 per cento degli edifici sorge su un’area a pericolosità idrogeologica elevata o molto elevata. La fragilità del territorio italiano è accentuata da problematiche come abusivismo, consumo di suolo, aumento della frequenza degli eventi estremi, opere e interventi effettuati in maniera sbagliata, scarsa manutenzione del territorio. Sono fattori antropici che hanno aumentato in molti casi il livello di rischio. Intervenire quando l’evento calamitoso è avvenuto serve a poco, bisognerebbe lavorare per prevenire, attraverso la pianificazione, la programmazione da fare con consapevolezza tenendo conto dei rischi e delle vulnerabilità, e quindi sulla base di un sistema conoscitivo molto avanzato e accessibile a tutti. La volontà non manca, il sistema tecnico e scientifico sta molto lavorando per contenere i danni dovuti ai rischi. L’approccio fondamentale passa dalla cultura della prevenzione: educando e coinvolgendo la popolazione si riesce a cambiare rotta. Un buon piano urbanistico e di protezione civile non serve a nulla se la popolazione non è informata e non sa cosa farne. Poi attraverso una buona pianificazione e progettazione si può ridurre l’impermeabilità dei suoli, occorre condividere strategie e dati per creare comunità attive e resilienti. E’ importante che ci sia secondo me un database nazionale per avere le informazioni di riferimento sulle condizioni di base. Sempre sul livello di sistema Paese è fondamentale approvare il prima possibile il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici per poi consentire la creazione di piani regionali e comunali di adattamento. Dobbiamo essere consapevoli che occorrerà coraggio, perché sarà sempre più necessario intervenire attraverso delocalizzazioni di opere, edifici, infrastrutture strategici. Quando parliamo di rischio idrogeologico parliamo senza dubbio di un’emergenza nazionale, che coinvolge un numero molto elevato di territori, dal Nord al Sud del Paese. Noi tecnici continuiamo a denunciare i rischi, ma non si interviene, e nonostante si conoscano le fragilità troppe sono le aree urbanizzate in contesti fragili e vulnerabili: si è costruito dove non si doveva. La cura è la prevenzione, occorre un cambiamento dello stile di vita del Paese e dei cittadini. La prevenzione va affiancata da mitigazione e messa in sicurezza del territorio. Quando la cultura dell’emergenza sarà sostituita dalla cultura della prevenzione potremo dire di vivere in un Paese che è riuscito a superare dei limiti che ci hanno anche screditato anche all’estero. Accanto a questo, lo ripeto per sottolinearlo, l’urbanistica necessita di strumenti più efficaci e flessibili, da associare a risorse economiche certe.

 

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica