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Il PNACC approvato: le criticità e la pianificazione che non c’è

17/01/2024

La recente approvazione da parte del Ministero dell’Ambiente del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC) non risolve le esigenze di programmazione in un ambito sempre più centrale e strategico per la qualità della vita e la sicurezza nei territori del nostro Paese. Simone Ombuen, membro effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica e professore a Roma Tre, già nell’ottobre del 2022 sottolineava i vulnus e le mancanze con cui il documento stava prendendo forma.

Oggi ne mette in evidenza anche altri: “Il Piano approvato non tiene conto delle osservazioni. Nemmeno di quelle avanzate dalle Regioni, che hanno in modo competente eccepito sulla sua struttura, in molti punti. Questo sebbene le osservazioni siano contenute nella sintesi della VAS, quindi nel documento stesso”. Si intravede quindi un certo disordine, che discende da un’errata impostazione della procedura di redazione e valutazione del piano. Ombuen spiega: “La VAS è stata fatta nella fase preliminare, salvo doverla ripetere in seguito, ma a quel punto senza reiterare le modalità di partecipazione. Mancava poi, di fatto, un identificabile gruppo di lavoro incaricato della redazione”.

Ma soprattutto, per l’esponente dell’INU, è “la struttura del Piano a essere insufficiente. Non individua azioni concrete, elenca azioni possibili in un database di 370 voci che sono solo titoli. La parte attuativa è rinviata a una fase successiva con la costituzione di osservatori regionali, un nome curioso visto che avrebbero potere dispositivo, ma non inseriti in un quadro di governance. Si dice che il piano impatterà sul sistema di pianificazione, ma allo stesso tempo si rinvia alle Regioni senza dare linee guida convincenti, tanto che in fase di recepimento esse si sentirebbero autorizzate a fare ciascuna quel che crede. La componente nazionale viene interpretata in modo riduttivo, essenzialmente limitandola a un quadro analitico - ricognitivo”.

Un evidente punto debole, prosegue Ombuen, sta poi nei dati: “Il Piano è del 2023 ma si poggia su un’analisi di coerenza esterna che è del 2015, benché le Regioni abbiano denunciato che non tenga conto dell’esistenza, ad esempio, del PNRR. È paradossale che non vi compaiano gli strumenti operativi in corso, alcuni dei quali già individuano obiettivi ed azioni di adattamento climatico”.

Messe in fila queste gravi criticità, va comunque riconosciuto che “è un bene che vi sia ora un piano per il clima, ma serve subito un cantiere per la sua ridefinizione. Occorrerebbe una iniziativa ambiziosa sulla materia 'governo del territorio', oggi ancora orfana della pur necessaria legge di principi, ed ancora affidata a una legge, la L. 1150/1942, scritta prima della Costituzione repubblicana. Servirebbe un quadro che certifichi l’esistenza di tale materia e da cui trarre le esigenze di pianificazione, che non potrebbe che risultare da un’iniziativa dello Stato. Se non si compie questo passo è inevitabile che quando si deve passare all’attuazione il piano rinvia alle Regioni, le uniche che fanno manutenzione del sistema di pianificazione; ma così si aumenta l’effetto di dispersione, si allarga la divaricazione nei loro profili operativi. Una legge quadro sul governo del territorio, la cui proposta è stata giustamente avanzata dall’INU, sarebbe un passo essenziale. Ecco quindi che il problema a monte è sempre quello che abbiamo segnalato più volte, la scarsa considerazione che si ha della necessità della pianificazione, un’attitudine che nasce da lontano ed è purtroppo molto radicata. Basti pensare ai grandi investimenti infrastrutturali contenuti nel PNRR, la cui programmazione è stata di fatto appaltata alle decisioni delle grandi aziende pubbliche, salvo poi operare modifiche su opere vistose per esibire poteri deliberativi”.

Interventi più limitati sul PNACC, tuttavia migliorativi, sono comunque possibili. Ombuen avanza un esempio: “Si potrebbero utilizzare i piani stralcio delle autorità di bacino, aggiornati di recente e sovraordinati rispetto alla pianificazione comunale, per impostare varianti obbligatorie ai piani urbanistici non adeguati, recependo così gli obiettivi e i programmi di prevenzione e di contenimento del rischio idrogeologico. Sarebbe un intervento in ogni caso riduttivo visto che il tema dell’adattamento climatico tocca molti altri tipi di rischio oltre quelli idrogeologici - come ad esempio le isole di calore urbano - che interessano l’intero territorio dei Comuni, non solo le aree esondabili o alluvionabili. Sarebbe un miglioramento dell’operatività e dell’efficacia del Piano nazionale di adattamento, ma dal mio punto di vista anche un’occasione persa. Perché la rapidità e la gravità del cambiamento climatico in atto chiederebbe di agire più in profondità attraverso una coerente pianificazione, capace di operare sia sui principali contenuti generali che sulla gerarchizzazione delle priorità, che sono diverse per ogni specifico territorio”.

 

 

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica