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Decreto semplificazioni, l'audizione in Senato e le proposte di modifica dell'INU

28/07/2020

Il presidente dell'INU Michele Talia ha partecipato ad una audizione al Senato (Comm. 1a e 8a) sul decreto semplificazioni. Sempre sullo stesso argomento è stato depositato un documento contenente le Osservazioni e le proposte di Emendamento elaborate da Federazione Pro Natura, Greenpeace Italia, Kyoto Club, INU, Legambiente, TCI, WWF su 21 di 64 articoli del decreto legge. Di seguito l'intervento del presidente INU in audizione, qui il comunicato stampa congiunto

Signor Presidente, onorevoli senatori,

anche a nome dell’Istituto Nazionale di Urbanistica – ente di diritto pubblico fondato nel 1930, che qui rappresento in qualità di Presidente - vi ringrazio per l’opportunità di esporre il nostro punto di vista sul Decreto Legge in discussione, e dunque su un tema di fondamentale importanza per il superamento dell’emergenza e il rilancio del Paese.

Così come abbiamo sostenuto in un documento di proposte su questi stessi temi pubblicato nel mese di maggio, l’Italia dovrà dispiegare al più presto uno sforzo imponente di immaginazione progettuale e di capacità attuativa, commisurato ai programmi massicci di investimenti pubblici che interesseranno il nostro Paese, e che dovrebbero essere in grado di coniugare l’obiettivo del rilancio economico con quello di esercitare un’imponente azione di contrasto nei confronti del climate change. A fronte di questo straordinario impegno l’obiettivo del contenimento dei tempi tecnici necessari alla realizzazione delle opere pubbliche assume una particolare rilevanza, e di conseguenza anche l’esame dei fattori che possono contribuire allo snellimento dei processi attuativi. 

Nel Rapporto sulla realizzazione delle opere pubbliche realizzato di recente dall’Agenzia per la coesione territoriale si evidenzia che la durata degli interventi promossi dalla pubblica amministrazione è legata in particolar modo ai tempi di attraversamento, ovvero ai tempi intercorrenti tra una fase e l’altra dell’attuazione di un’opera (progettazione, gara, esecuzione, collaudo). Tali tempi hanno una forte incidenza sulla durata delle singole fasi e dipendono da una pluralità di cause, anche se la corretta pianificazione tecnica ed economica dell’opera tende ad acquisire un particolare rilievo. Secondo la stima effettuata dall’Agenzia i tempi di attraversamento misurati lungo l’intero iter di attuazione dell’opera pubblica costituiscono oltre il 54% dell’intera durata del processo di realizzazione, ma la sola fase della progettazione preliminare può coprire più di due terzi dei tempi di attraversamento.

Evidentemente anche la decisione di assegnare una corsia preferenziale alla discussione del DL Semplificazione nasce dalla convinzione che l’eccessiva durata dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche dipenda in larga misura dalla capacità dell’amministrazione pubblica di operare in modo efficiente, ma a nostro parere il testo attualmente in discussione presenta numerosi aspetti che richiederebbero una differente enunciazione o una integrale ridefinizione.

Nel proporre le valutazioni dell’INU su un testo di legge così ampio e articolato, e in un tempo così limitato, dovrò limitarmi a sottolineare le questioni che a nostro parere sono più significative, ma potrò rinviare al documento di Osservazioni ed Emendamenti delle Associazioni Ambientaliste che abbiamo appena presentato insieme, tra gli altri, a Legambiente e al WWF.

In questo esercizio di sintesi converrà partire dalla consapevolezza che la semplificazione del quadro normativo e procedurale non può non tener conto delle acquisizioni più recenti del dibattito sulle strategie di superamento della crisi, partendo dalla necessità di tener finalmente nel debito conto  della dimensione territoriale dei processi di sviluppo, e puntando in questo modo sulla ricostruzione della domanda interna e sul varo di un nuovo ciclo di investimenti sul territorio.

Ben sapendo che le nuove tensioni cui sarà sottoposta la spesa pubblica a partire dal prossimo autunno dovranno confrontarsi con le tradizionali criticità di una capacità di spesa troppo bassa, l’accelerazione registrata dall’iter del Decreto Legge n. 76 costituisce indubbiamente una buona notizia. E questo soprattutto se il testo definitivo del provvedimento consentirà effettivamente di perseguire con successo la razionalizzazione degli apparati e degli strumenti che presiedono alla attuazione delle politiche pubbliche e, aggiungerei, al governo del territorio.

Prima di passare ad una rapida rassegna delle principali questioni sollevate dall’esame dell’articolato del Decreto Legge, è forse il caso di prendere atto che lo scenario che tende a delinearsi in questo importante passaggio istituzionale appare segnato da una sfida inversa alla complessità e, al tempo stesso, alla semplificazione. Se da un lato l’apparato pubblico è chiamato a ricostruire la sua capacità operativa, che nell’ultimo decennio è stata oggetto di reiterati interventi di de-potenziamento (tagli del personale, blocco delle carriere e dei trasferimenti, precariato e provvisorietà, contrazione degli investimenti per la formazione e l’innovazione tecnologica), dall’altro non sembra più rinviabile un intervento deciso a favore della qualificazione professionale del personale della pubblica amministrazione, della dotazione di risorse umane e materiali e dello snellimento procedurale.

A fronte di questo impegno straordinario sono almeno tre gli ambiti specifici di iniziativa su cui richiamare l’attenzione delle istituzioni. A integrazione della semplificazione dei procedimenti amministrativi di cui trattiamo in questa sede, conviene pensare al lancio di un piano nazionale di potenziamento delle strutture tecniche degli enti locali, con procedimenti di rapido reclutamento, e con profili di competenze che consentano la digitalizzazione di tutti i processi, sia tecnico-progettuali che amministrativi. E infine al ricorso a politiche pubbliche maggiormente mirate, che si avvalgano di procedure tecnico-amministrative più lineari e chiaramente finalizzate, e che attraverso l’impiego di piani strategici di rilancio delle aree di crisi producano non solamente una marcata accelerazione della spesa, ma anche un evidente miglioramento della sua efficacia.

Con riferimento a questi obiettivi il DL n.76 contiene alcune risposte di un certo interesse, ma anche non pochi pericolosi arretramenti, nonché una serie di possibili sviste che sarebbe opportuno emendare al più presto. Si pensi ad esempio al tentativo di forzare il Codice Appalti e le norme comunitarie innalzando la soglia dell’affidamento diretto, senza gara, con la conseguenza di assegnare un ampio potere discrezionale alle amministrazioni pubbliche con il rischio che non siano rispettati i principi di trasparenza e di concorrenza nell’affidamento di servizi, forniture e  lavori pubblici, e che quindi le amministrazioni, in una fase già così delicata, non possano valutare liberamente l’offerta più vantaggiosa per le comunità (artt. 1 e 2).

 

Oltre che rischiosa dal punto di vista del rispetto delle regole fondamentali che presiedono al funzionamento del libero mercato, tale misura può rivelarsi scarsamente utile, se non altro perché la stessa ANAC ha evidenziato nella sua Relazione Annuale 2019 alla Camera dei Deputati come, riguardo alla velocizzazione delle procedure, “i problemi debbano essere ricercati nelle fasi preliminari dell’affidamento, ad esempio nella carente programmazione e progettazione e in quella successiva dell’esecuzione, spesso frenata dalla opposizione di riserve e varianti (causate di nuovo da problemi di progettazione), da incrementi di costi che finiscono per ritardare pesantemente la conclusione delle opere.” Tutti problemi questi ultimi – quelli della cattiva progettazione e realizzazione, delle varianti in corso d’opera e della lievitazione dei costi – che non vengono affrontati dal decreto in esame, ma al contrario rischiano di essere amplificati forzando le procedure di affidamento proprio nella delicata fase di uscita dall’emergenza.

Una seconda matteria affrontata dal Decreto in cui le innovazioni introdotte si preannunciano poco convincenti riguarda il ruolo e le responsabilità del dirigente pubblico preposto alla stipula di un contratto, che non solo viene esposto a conseguenze erariali e disciplinari qualora non riesca a stipularlo nel termine di 60 giorni, ma che nel caso di opere di interesse nazionale viene assoggettato ad una sorta di coabitazione con un “Collegio tecnico consultivo” (artt. 4 e 6), che dovrebbe svolgere alcuni rilevanti compiti in tema di sospensione e modifica delle opere, e di assistenza alla risoluzione delle controversie.

In analogia con il Dispute Board della contrattualistica internazionale il Collegio dovrebbe fare in modo che l’amministrazione possa giovarsi durante tutte le fasi che interessano l’esecuzione dell’opera pubblica dell’esperienza di soggetti con adeguata esperienza e conoscenza specifica dell’appalto, ma da questa finalità discende un’implicazione che appare contraddittoria per un decreto finalizzato alla semplificazione dei procedimenti amministrativa e con il quale si dovrebbe tendere ad una maggiore responsabilizzazione della Pubblica Amministrazione.

Da tutto ciò discende infatti l’obbligo, per l’amministrazione pubblica, di rinunciare alle competenze interne come invece imporrebbe il principio dell’economicità dell’azione amministrativa, e di ricorrere al contrario all’assistenza di un Collegio consultivo in cui siedono ingegneri, architetti, giuristi ed economisti di comprovata esperienza, la cui remunerazione dovrà essere proporzionata al valore dell’opera, al numero e alla qualità e alla tempestività delle determinazioni assunte.

In tutto ciò il dirigente o funzionario pubblico (che paradossalmente continuerà a chiamarsi Responsabile Unico del Procedimento), potrà essere imputabile di danno erariale per grave inadempimento degli obblighi contrattuali derivanti dall’inosservanza delle determinazioni di un collegio  che nondimeno viene definito consultivo.

Nel ridefinire radicalmente la catena di comando, il Decreto invade il campo del Codice Appalti, ma la previsione della possibilità di applicare l’istituto del lodo contrattuale previsto dal codice di procedura civile (art. 808-ter) proprio nel momento in cui si ricorre a procedure emergenziali e accelerate in deroga alla normativa vigente potrebbe diminuire la trasparenza delle decisioni assunte dalla pubblica amministrazione, tanto che il ricorso all’Arbitrato irrituale non sembra la soluzione migliore da perseguire.

Ma il passaggio del testo in esame che a mio parere desta più preoccupazione è costituito probabilmente dalle modifiche introdotte dall’art. 9 relativamente alla disciplina dei commissari nominati ai sensi dell’art. 4 del decreto legge n. 32 del 2019 (lo Sblocca Cantieri), che definisce una procedura di individuazione a maglie molto larghe degli interventi infrastrutturali caratterizzati da un elevato grado di complessità progettuale, da una particolare difficoltà esecutiva o attuativa e da complessità delle procedure tecnico – amministrative.

Nel delineare le mansioni del Commissario Straordinario, il Decreto stabilisce che la sua nomina avverrà con un DPCM finalizzato alla realizzazione di interventi infrastrutturali ritenuti prioritari a livello non solo nazionale, ma anche regionale e locale, previa intesa con il presidente della Regione. In questi termini il risoluto ampliamento del campo di applicazione della nuova figura si pone in aperta contraddizione con la necessità di applicare una procedura così delicata alla realizzazione di un numero limitato e selezionato di opere infrastrutturali realmente prioritarie, e prelude alla compilazione, nel tempo, di un elenco indefinito di opere che si pongono al di fuori di una logica programmatoria rigorosa e di una seria valutazione della reale capacità economico-finanziaria dello Stato. Opere, quindi, che nel migliore dei casi, non verranno mai costruite per mancanza di fondi, o che nel peggiore tenderanno a produrre, anche quando non verranno completate, ricadute negative sul territorio, sull’ambiente e sul paesaggio.

In definitiva l’INU ritiene che in molte delle disposizioni chiave del provvedimento, contenute in particolare nel Titolo I Capo I e Capo IV, nonché all’articolo 50 del decreto legge n. 76/2020, ci sia il rischio di introdurre meccanismi e strumenti inefficaci, rendendo più opachi e quindi più a rischio di legalità i meccanismi decisionali della pubblica amministrazione. Per questo motivo il documento consegnato in data odierna dall’INU e dalle altre associazioni ambientaliste non si limita ad argomentare le sue proposte emendative, ma cerca di proporre numerosi interventi migliorativi e integrativi delle norme contenute nel decreto in esame.