09/04/2021
Il dossier della Svimez “La frammentazione del Centro: tra terza Italia e secondo Mezzogiorno”, presentato dal quotidiano Il Messaggero in un articolo di qualche giorno fa, racconta attraverso i dati di un arretramento delle regioni centrali del nostro Paese (Toscana, Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo) che somiglia molto a un declino. I numeri destano una certa impressione. Eccone qualcuno. Se consideriamo a 100 il Pil pro capite in Europa e lo confrontiamo con quello delle regioni citate, dal 2000 questo valore è sceso da 157 a 110 nel Lazio, da 137 a 103 in Toscana, da 124 a 90 nelle Marche, da 113 a 81 in Abruzzo e da 127 a 85 in Umbria. Clamorosi i numeri che riguardano il Prodotto interno lordo, che rispecchiano del resto quelli demografici. Dal 2008 ad esempio l’Umbria ha perso un quarto di Pil, le Marche circa il 18 per cento, l’Abruzzo il 15.
“Sono dati significativi – riflette il presidente della sezione Toscana dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, Francesco Alberti – e credo che questa evidente perdita di competitività, da associare a un vero e proprio principio di declino, sia legata al problema della mancanza di strategie nazionali e a cascata regionali. Non abbiamo strategie di sviluppo sostenibile legate alla specificità dei territori e pagano maggiormente quelli che partono da una posizione di minore competitività a livello globale”.
Il conto per Alberti arriva perché “si è del tutto trascurata la dimensione della progettualità e della pianificazione strategica. Ancora di più dopo che le Province sono state soffocate è stato affidato tutti ai Comuni, a cui non si può chiedere una visione d'area vasta, e ai privati, che procedono secondo le proprie possibilità, e comunque con le proprie finalità e in ordine sparso. E’ mancata finora una guida: a differenza di altri Paesi il ruolo delle Regioni non viene valorizzato nella logica di uno sviluppo sostenibile, ‘place based’ e strategicamente orientato. I territori del Centro Italia hanno tante risorse e potenzialità ma non esiste un disegno finalizzato a valorizzarle come sistema e farle crescere. Se guardiamo ai temi emersi con il Green Deal e il Recovery Plan, ci accorgiamo che sembrano fatti apposta per il rilancio di alcune aree, come quelle del Centro Italia, in un’ottica ‘bioregionale’, ma a livello nazionale e di singole regioni non ci sono strategie di accompagnamento di largo respiro. E quando ci sono risorse si va alla ricerca di ‘opere cantierabili’, grattando talora il fondo dei cassetti, invece che impostare programmi ambiziosi e multisettoriali tarati sulla specificità dei diversi contesti regionali”.
Per il presidente di INU Toscana è particolarmente significativo al riguardo il dibattito e i metodi utilizzati sul tema delle infrastrutture: “Ci si riduce ogni volta agli elenchi delle opere, spesso senza argomentarli adeguatamente. I progetti avanzano o meno, ma non sempre in ragione della loro effettiva utilità. E’ naturalmente vero che il ritardo su alcune opere produce effetti negativi ma non è vero che le infrastrutture materiali siano sempre e comunque driver di sviluppo: va visto ogni volta come, quanto, dove”. Sul territorio toscano ad esempio Alberti individua come prioritario l’intervento sulla rete ferroviaria piuttosto che su quella stradale, vista anche la dotazione di ferrovie sottoutilizzate che innervano l'insediamento.
L’Umbria, come detto in premessa, è tra le regioni in maggiore sofferenza. Alessandro Bruni, presidente della sezione regionale dell’INU, individua tra le cause lo squilibrio del tessuto produttivo e in particolare l’alto tasso di occupazione pubblica, che la diminuzione di investimenti ha messo in crisi, e il gap infrastrutturale: “L’isolamento per certi versi è stato un vantaggio perché ha determinato, in certe circostanze, elementi di attrattività, ma per le imprese e il sistema produttivo costituisce un peso in modo sempre più significativo”.
Anche Bruni sottolinea l’importanza della pianificazione strategica, e non è un caso che questa fase di arretramento coincida con la “distrazione” da una pratica che in Umbria ha una continuità e una tradizione che risale agli anni Sessanta del secolo scorso e arriva fino alle buone pratiche di gestione dei fondi europei per la riqualificazione urbana. Per il presidente di INU Umbria “sulla programmazione e sulla pianificazione strategica la politica da qualche anno ha abdicato e questa mancanza si percepisce. Ci vorrà del tempo per recuperare, tuttavia devo rilevare in alcuni atti recenti positivi segnali di inversione di tendenza, facilitati probabilmente dalla fase di fermento innescata dal Recovery Plan, dal nuovo ciclo di programmazione europea e dalla accelerazione impressa alla ricostruzione e allo sviluppo delle aree colpite dal sisma del 2016 del Centro Italia”.
Andrea Scarchilli - Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica