INUCOMUNICA

Gianni Cerami, un ricordo

13/11/2021

Non è un compito facile quello di ricordare brevemente la figura scientifica e umana di Gianni Cerami, cercando di riprendere sia pur fuggevolmente le diverse sfaccettature di un collega e amico per oltre sessant’anni.
Mi sforzerò di non essere pedante. Sarà un racconto di ricordi, fedele a quanto scriveva Gabriel Garcia Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”.
Sarà il ricordo di un amico e di un collega.
Il primo ricordo che conservo di Gianni, prima ancora di conoscerci, è della fine degli anni Cinquanta: è quella di un ragazzo bellissimo che correva nelle scale di palazzo Gravina, insieme mi sembra a Francesco Starace, all’inseguimento di una bionda svedese.
Non ci siamo incontrati da studenti, ma da freschi laureati nella seconda metà degli anni sessanta come assistenti volontari di Carlo Cocchia che insegnava Progettazione architettonica al terzo anno di corso. Cocchia aveva radunato una pletora di collaboratori a diverso titolo. Massimo Nunziata, Nicola Pagliara e Rosalba La Creta, che erano già assistenti ordinari, poi c’era un gruppo di volontari: Lucio Morrica, Marcello Avena, Luciana De Rosa, Sandro Dal Piaz, Vanni Pasca, Gigiotto Palestino, Gianni ed io.
Il corso di Cocchia era organizzato come una specie di federazione di più corsi affidati agli assistenti. Gianni, Vanni ed io proponevamo a un gruppo di studenti di utilizzare i criteri della forma urbana teorizzati da Kevin Lynch in The Theory of Good City Form come obiettivi per il progetto di strutture insediative a grande scala.
Poi negli anni settanta ci siamo allontanati.
Quando nel 1976 viene chiamato Marcello Vittorini, che resta a Napoli fino ai primi anni ottanta, Gianni presta attività di assistente in quel corso. Vittorini inseriva nella situazione stagnante dell’insegnamento dell’urbanistica a Napoli una forte sollecitazione verso lo studio dei problemi concreti di un territorio fortemente interessato da trasformazioni e tensioni.
Ed è questa l’impostazione che guiderà Gianni in più direzioni.
Con la giunta Valenzi nel 1976 e per tutti gli anni ottanta fa parte della Commissione urbanistica del Comune con Giulio De Luca, Almerico Realfonzo, Guido D’Angelo, Sandro Dal Piaz, Giancarlo Cosenza ed io. Quelli sono gli anni in cui collabora al Piano Quadro delle attrezzature insieme a Sandro Dal Piaz e agli assessori Andrea Geremicca e Giulio Di Donato, avviando l’attività dell’ufficio di piano, dei giovani architetti che Gabriella Corona chiamerà I ragazzi del piano, Giannì, Camerlingo, Moraca e gli altri.
Negli anni ottanta comincia ad assumere la responsabilità del corso di Urbanistica, come professore incaricato.
È sempre vigile sui problemi urbanistici della città. Nel 1989 quando l’Iri affida all’Italimpianti il ruolo di “ingegnere sistemista per i riflessi territoriali della reindustrializzazione” in Italia, attribuisce a Gregotti il compito di stendere un documento generale su Genova, Napoli e Taranto, avvalendosi di un gruppo di studio interdisciplinare (Barbieri, Martinotti, Momigliano, Secchi, Zambrini) e con la consulenza di urbanisti per ciascuna delle tre aree urbane, e per Napoli viene coinvolto Gianni.
L’attività di ricerca che Gianni porta avanti occupa uno spazio particolare, pregevolmente al di fuori della corrente principale, della mainstream della ricerca accademica. A partire dal linguaggio, del tutto originale. Gianni tratta il tema della partecipazione alle decisioni di piano, in termini di una condivisione che trasformi la narrazione delle comunità coinvolte nei termini di una “urbanistica gentile”. Un’aspirazione avvolta da un soffio di poesia su una pratica così aspra. In questo modo il possibile contributo delle comunità viene rappresentato nelle “quattro piume della politica urbanistica in Italia” per costruire futuri speranzosi.
È una ricerca della condivisione, irrorata dall’immaginazione.
Il più corposo dei suoi libri, scritto nel 1996 con Vito Cappiello e Anna Giannetti sulla progettazione del verde alla grande scala- Il giardino e la città, è valorizzato da una imponente e originale documentazione visiva.
Gianni era molto generoso.
Quando sei anni fa ho cominciato a scrivere Memory cache. Urbanistica e potere a Napoli, una sorta di autobiografia, Gianni mi ha aiutato non solo leggendosi e commentando le prime stesure ma fornendomi anche suggerimenti e materiali.
La nostra attività di ricerca è andata avanti su percorsi paralleli.
Soltanto nel 2017 abbiamo scritto insieme, lo abbiamo fatto nel volume che io ho curato intitolato Competenze in azione. Governo del territorio e sviluppo metropolitano a Napoli, dove Gianni ha steso un lungo saggio su Istituzioni e saperi nella recente attività urbanistica di Napoli, mettendo a frutto la vasta conoscenza accumulata negli anni.
Gianni era anche un raffinato maestro di ironia. È l’unico collega che mi abbia insistentemente e amabilmente preso in giro. Il bersaglio era la mia intransigenza etica. La formula che aveva coniato era quella del “cilicio”. Soprattutto quando si compiaceva che ero stato meno rigido, più gioioso, allora sparava “meno male, ti sei levato il cilicio!”. Ma più di frequente notava che il cilicio mi restava appiccicato. E il cilicio, per chi non lo ricorda, è la “cintura ruvidissima e nodosa da portarsi sulle carni per penitenza”, come recita il Devoto-Oli. Pochi anni fa quando sono stato nominato professore emerito ha cominciato a chiamarmi “emerito” con molti puntini sospensivi che alludevano, nel linguaggio napoletano, ad essere accompagnati da sostantivi di affettuoso sberleffo. Ci ridevamo sopra.
Negli ultimi anni ci siamo inseguiti nelle telefonate. Lui aveva rigenerato l’antica amicizia con Vanni Pasca – che anche lui purtroppo ci ha lasciato pochi giorni fa - , e le telefonate tra Gianni e me, nella parte che non riguardava le nostre letture, i nostri libri, riprendevano i temi delle conversazioni avute con Vanni. Mi sembrava quasi di essere tornato agli anni sessanta e a noi tre assistenti di Cocchia.
L’ho sentito l’ultimo giovedì. Bisbigliò che stava malissimo. Restai sconvolto.
Mi mancherà, ci mancherà molto. 
 
 
Attilio Belli