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Il Congresso internazionale di Roma del 1929 e la nascita dell’Inu

Il Congresso internazionale di Roma del 1929 e la nascita dell’Inu

Luigi Falco

Nel 1929 haluogo a Roma il XII Congresso internazionale dell’abitazione e dei piani regolatori e, contemporaneamente, la Prima mostra nazionale dei piani regolatori. Il Congresso è organizzato dalla Federazione internazionale delle abitazioni e dei piani regolatori e segue quello di Parigi del 1928; all’organizzazione è preposto un comitato italiano di cui è presidente Alberto Calza Bini e segretario VirgilioTesta[1] ed è questo comitato che organizza anche la mostra nazionale dei piani che costituisce un importante momento di verifica dello stato dell’urbanistica italiana, poiché moltissimi grandi e medi comuni vi espongono piani e risultati della gestione dello sviluppo urbano[2].

Pare in quest’occasione a Luigi Piccinatodi riconoscere due tipologie di piani, tra quelli esposti; quelli redatti dai comuni attraverso le proprie strutture tecniche e quelli preparati dagli studi professionali rappresenterebbero due posizioni «le quali scaturiscono e da una opposta concezione funzionale della città e, in certi casi, dalla inconsistenza degli studi…»[3]. E gli pare soprattutto che, al di là della «crisi spirituale dell’urbanismo nazionale che questa prima Mostra ed il Congresso hanno messo in evidenza»[4], i prodotti professionali siano di gran lunga migliori di quelli municipali.

È il segno dell’inversione della tendenza che aveva fino ad allora visto predominare i tecnici municipali nella cultura disciplinare e si evidenzia l’emergere della nuova figura degli urbanisti professionisti. Ed è spiegabile: intanto l’atteggiamento del regime nei confronti degli enti locali con la progressiva riduzione del loro ruolo e delle loro competenze; cioè la vanificazione operata dal fascismo, con numerosi atti legislativi ed in diversi settori, dell’autonomia dei comuni a fronte dell’ampliamento dei poteri dello stato centrale totalitario[5]. Conseguenza della quale, non v’è dubbio, dev’esservi stata una caduta di potere da parte delle burocrazie comunali (probabilmente inquinate anche con lo stemperamento di una elevata professionalità con assunzioni di tipo clientelare, di regime).

Poi l’emergere dei nuovi laureati delle facoltà d’architettura, da poco sorte, che finalmente incominciano a giungere sul mercato del lavoro; ed i laureati, ed i loro professori, devono trovare proprio nel mercato del lavorouno spazio che giustifichi e legittimi la sopravvivenza loro e dell’istituzione che li ha prodotti.

Inoltre lo scontro, di cui s’è già detto, tra architetti razionalisti ed architetti tradizionalisti per il primato dell’architettura fascista che inizia proprio nel 1929 con la fondazione del Miar, coinvolge il campo della disciplina urbanistica. Si ripete, anche qui sebbene più attutito, lo scontro che è contrapposizione di idee, ma che è anche lotta per interessi materiali di chiara marca corporativa[6]. Ed in questa contrapposizione di «tendenze» tecnico-culturali, molto legate alle idee (dell’architettura e del disegno della città), ma che tocca consolidati interessi professionali, la dimensione gestionale dell’urbanistica, sanamente pragmatica, propria dei tecnici comunali, soccombe; l’interdisciplinarità è sconfitta dalla disciplinarità in nome di interessi corporativi; l’importanza delle analisi e della gestione delle opere pubbliche (i momenti a monte ed a valle del piano) è offuscata dal predominio del disegno del piano che è lo strumento specifico a dominare il quale l’architetto è stato preparato[7]; e poi la cultura degli urbanisti municipali è spezzettata i geograficamente in moltissimi comuni, talvolta molto distanti dai due centri del dibattito, Roma e Milano, e non ha posizioni corporative così consolidate da difendere.

Del resto il regime ha bisogno più di questi nuovi tecnici che non di quelli municipali che rappresentano (forse) la sopravvivenza dei particolarismi (delle autonomie) consentite all’interno dello stato liberale. Il fascismo che, per parti, sta elaborando un piano di organizzazione economica e sociale della nazione, ha bisogno di un tecnico dell’organizzazione fisica degli spazi che sia «disponibile ad ogni operazione: si può discutere sulle modalità dell’intervento, non sulle scelte che lo guidano»[8].

Verso questi tecnici si indirizzano una serie di privilegi: l’albo professionale «inventato» nel 1922 che è la garanzia per la committenza del prodotto professionale, fornita dallo stato; la politica delle opere pubbliche, alla progettazione delle quali sono chiamati gli studi privati attraverso la diffusione dei concorsi; il concorso-appalto; il ruolo della libera professione, insomma, rivalutato e protetto dallo stato[9].

All’epoca della mostra romana del 1929, alla svolta della crisi dell’urbanistica italiana cui accenna Piccinato, ed a cui si riferisce anche Melis in un articolo sulla «Rassegna di Architettura» nel quale indica come necessario l’abbandono del concetto di urbanistica come arte in cui è «tutto bellino e pulitino»[10], a fronte del declino delle sorti degli urbanisti municipali vi è l’emergere della corporazione degli urbanisti professionisti, che andrà sempre più consolidandosi in seguito e fino a tempi recenti[11]. Ma i professionisti non sono così compatti; un confine culturale divide i due campi in lotta per il predominio: razionalismo da una parte, accademismo dall’altra. Questi due campi sono anche delimitati da un confine geografico?

Non v’è dubbio che anche in urbanistica il razionalismo sia soprattutto lombardo-milanese, mentre ancora una volta gli accademici hanno i loro «naturali» agganci con il potere centrale dello stato fascista in Roma. Tuttavia una troppo precisa delimitazione geografica lascia sfuggire troppi protagonisti.

Un altro confine divide poi, pescando in tutti i due i campi, chi ritiene che debba essere fatta una politica di massicci sventramenti nei centri storici da chi, come Giovannoni, accademicoe romano, richiederebbe una più attenta e meditata valutazione degli interventi nei tessuti urbanistici antichi.

Un po’ a parte, anche questa volta, mi’ pareci sia ilgruppo dei torinesi: lontani dal potere del regime che è abbastanza estraneo alla cultura locale (contro un Agnelli si pensi a Gramsci, a Gobetti ed ai tanti loro compagni), ma altresì lontani dalle posizioni polemiche dei razionalisti lombardi, essi hanno solidi legami con una consistente parte dell’intelligenza burocratica municipale.

 

La fondazione dell’Inu

Con nello sfondo questo scenario complesso, viene fondato l’Inu il 25 gennaio 1930. Un avanzo di bilancio di 230.000 lire ottenuto col’il congresso romano del 1929 è la giustificazione contingente e formale della fondazione dell’Istituto nazionale di urbanistica da parte del Comitato del congresso: lo scopo è «promuovere, disciplinare e diffondere gli studi urbanistici in Italia. Arrivati in ritardo nel campo degli studi urbanistici, gli Italiani dimostravano così di voler riguadagnare il tempo perduto. E la decisione era quanto mai opportuna»[12].

L’obiettivo dell’Inu, come risulta dall’art. 2 dello Statuto, consiste nello «studio dei problemi tecnici, economici e sociali, relativi allo sviluppo dei centri urbani» e nell’«esame delle questioni relative all’organizzazione e al funzionamento dei servizi pubblici di carattere municipale»[13]. Almeno all’atto della fondazione il richiamo alla dimensione municipalistica dell’urbanistica è ancora presente, anche se documenti immediatamente successivi non la registreranno più assolutamente.

Tuttavia rispetto all’idea originaria di Ardy è soprattutto caduto l’obiettivo della definizione della figura professionale dell’urbanista municipale che avrebbe dovuto essere so stanziata dall’Istituto superiore di studi municipali; invece gli urbanisti professionisti, ai quali l’Inu si rivolge in particolar modo, e per i quali ormai esiste da un decennio una specifica scuola, la facoltà di architettura, non necessitano di strutture di insegnamento ma hanno soltanto più bisogno dell’«associazione urbanistica», cioè di una struttura che disciplini, ovvero che tuteli verso la committenza, al pari di un ordine, gli studi urbanistici e che li diffonda e promuova, e cioè che agisca sull’opinione pubblica nel rendere palese la «necessità» dell’urbanistica, e quindi dell’urbanista. Secondo Ardy l’Istituto avrebbe dovuto essere una istituzione necessaria «all’interno» della disciplina, uno strumento per l’aggiornamento tecnico-professionale dell’urbanista; l’Inu ha invece prevalentemente una proiezione «esterna» all’urbanistica, verso il mondo civile, verso i laici, ed è uno strumento promozionale dell’urbanistica.

Che del resto l’Inu nasca ora in un nuovo ambito culturale (nell’ambito della professione libera) è dimostrato anche dal fatto che a dargli la prima struttura organizzativa ed operativa sono proprio quei gruppi di urbanisti «gruppi urbanistici» come li chiama Melis) che si sono spontaneamente raccolti all’interno delle organizzazioni sindacali degli architetti e degli ingegneri nelle principali città, e da essi prenderanno corpo le sezioni regionali dell’Inu.

L’Inu ha quindi soprattutto un ruolo proiettato verso l’esterno poiché «si prefigge la buona propaganda, il coordinamento delle iniziative e il vigile controllo per lo studio e l’attuazione dei piani regolatori e, in genere, di tutta la scienza, l’arte, il giure dell’urbanistica», ma soprattutto poiché «tende a scuotere quello che ancora in molte sfere ufficiali e nelle zone morte del gran pubblico è rimasto di torpido e di arretrato; esso vuole dimostrare come l’Urbanistica non sia argomento da affrontarsi senza specifica preparazione, ma abbia invece il carattere di una vera scienza positiva in cui tutte le scienze recano contributo e l’Arte dona lo spirito che fà belle nei secoli le creazioni»[14].

Alla fondazione dell’Inu concorrono ancora un discreto numero di comuni (Bologna, Genova, Milano, Napoli, Torino, Trieste e Venezia oltre al governatorato di Roma), ma riterrei che per comuni siano ormai da intendere soltanto più i podestà (uno dei quali, il senatore ingegner Eugenio Broccardi di Genova siede nella prima giunta direttiva), e non già invece la larga struttura tecnico-amministrativa dei funzionari impegnati nella gestione dello sviluppo urbano (ai quali si riferiva Silvio Ardy). Oltre ai municipi, sono tra i soci fondatori dell’Inu gli Istituti case popolari di Roma, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Torino e Venezia e l’Istituto abitazioni minime di Trieste; ed ancora tre istituzioni statali (L’Incis, l’Istituto di credito edilizio e l’Ina), alcune federazioni od associazioni corporative locali che ripongono nella città consistenti interessi di parte (la Federazione fascista costruttori edili, quella della proprietà edilizia di Roma, l’Associazione fascista della proprietà edilizia del Lazio e della Sabina) nonché alcune organizzazioni professionali (la Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti, nazionale, il torinese Sindacato interprovinciale fascista architetti ed il Gruppo promotore casa architetti all’Esposizione di Torino del 1928); ed infine istituzioni bancarie (Banca d’Italia, Banco di Napoli, Banca commerciale italiana), immobiliari (Istituto romano beni stabili e Società generale immobiliare) e, unico rappresentante della cultura tecnica a titolo personale, l’architettoArmando Melisdi Torino. La prima giunta dell’Inu è costituita dall’on. Alberto Calza Bini (presidente), dall’avv. Virgilio Testa (segretario) e dai con sul tori seno ing. Broccardi, arch. Piacentini, ing. Vitali, gr. uff. Perogallo, ing. Albertini, duca Niutta, prof. ing. Giovannoni, gr. uff. Parisi, on. ing. Caffarelli ed ing. Cipriani.

La fondazione dell’istituto nazionale stimola subito la formazione di due sezioni regionali: la laziale e la piemontese, mentre, significativamente, non altrettanto succede in Lombardia.

Roma è vicina al centro del potere politico che ha stimolato, perché ne ha interesse, la costituzione dell’istituto, ma è anche vicina al centro del potere economico nel settore edilizio che è peraltro anche ampiamente rappresentato tra i soci fondatori; Torino sembra invece raccogliere (ed in una certa misura la storia della rivista «Urbanistica» lo confermerebbe) ciò che ancora sopravvive della cultura urbanistica dei municipi; l’ambiente disciplinare milanese è invece attestato sui problemi della cultura degli architetti e, un po’ snobbando l’Istituto (che è nazionale e fascista), cercherà piuttosto di mantenere contatti di tipo personale con le avanguardie internazionali, ed in particolar modo con i Ciam.

Alla fondazione[15] la sezione laziale si dà un ampio programma di ricerca e di lavoro nel quale, accanto alle questioni di definizione disciplinare (significativamente rubricate sotto il titolo «cultura») ed a quelle conoscitive sulla realtà di Roma e del Lazio emergono due importanti filoni dell’impegno dell’istituto: da un lato il ruolo di tutela e di supporto della figura professionale dell’urbanista attraverso lo studio di un regolamento edilizio e di un regolamento d’igiene tipo peril Lazio e lo studio di elementi di dettaglio del piano regionale, nonché di piani urbanistici per le città rivierasche, ma anche l’azione presso gli enti locali affinché spetti alla sezione regionale dell’Inu la nomina delle commissioni giudicatrici dei concorsi per i piani regolatori, nel quadro di un ‘azione a più ampio respiro e d’intesa con l’Inu nazionale al fine di:

«c) Preparare uno schema «tipo» di bando di concorso per piani regolatori;

d) Promuovere… una vasta azione volta ad ottenere, oltre al riconoscimento giuridico dell’Istituto, che sia ad esso affidato il compito di bandire i nuovi concorsi, di nominare le commissioni giudicatrici, di disciplinare insomma, per legge, tutto ciò che si riferisce a sistemazioni urbane»[16]. A questo filone di impegno corrisponde anche la promozione di corsi di perfezionamento presso la facoltà di architettura di Roma, la rivendicazione di uno spazio sulle riviste tecniche, la pubblicazione anche saltuaria di un «Atti e notizie» ela preparazione di un convegno.

Quando poi la sezione laziale interviene sul problema della nuova legge urbanistica in discussione la componente corporativa emerge in tutta la sua evidenza; a partire dalla necessità di evitare errori nella preparazione e redazione di piani urbanistici (errori «dovuti precipuamente alla impreparazione urbanistica dei Comuni»)[17], si fa portatrice di alcune proposte quali la diffusione dei concorsi di urbanistica, la loro regolamentazione per legge, l’affidamento all’Inu della consulenza urbanistica per i comuni, la partecipazione all’approvazione dei piani regolatori e la organizzazione da parte dell’Inu di corsi di aggiornamento per i comuni, che tendono a confermare e rendere «necessaria» la figura dell’urbanista professionista organizzato in una struttura che si vorrebbe far diventare sempre più un organismo di tipo corporativo (cioè sindacale nella concezione fascista del termine).

Dall’altro lato invece la sezione laziale nel suo programma dà corpo alla necessità di consolidare l’urbanistica come scienza «necessaria» presso l’opinione pubblica, attraverso la promozione di conferenze in sedi non disciplinari, lo «scrivere articoli in giornali e comunque in-viare spesso notizie e comunicati a tener desta l’attenzione del pubblico», il preparare una mostra delle opere compiute e del materiale raccolto ed il «comunicare spesso ai Comuni e a tutti gli Enti con i quali è più necessario tenersi in continuo contatto, l’opera svolta e quella in progetto, in modo da tener viva la loro collaborazione»[18].

Anche la sezione piemontese che è la prima a costituirsi nel novembre del 1930 deve essersi data un programma del quale però non si trova traccia nella rivista né in archivi[19], ma che probabilmente prevede la formazione di diversi gruppi di lavoro che denunciano soprattutto il tentativo di approfondimenti disciplinari ai quali dovrebbe presumibilmente restituire unità l’attività complessiva della sezione; sono il gruppo ingegneri, il gruppo architetti, il gruppo legali ed economisti, il gruppo igienisti, psicotecnici, climatologi ed astronomi, il gruppo storici ed archeologi; opera inoltre un ufficio studi[20] ed una redazione della rivista «Urbanistica» (con un gran numero di collaboratori) che per il primo anno esce come bollettino della sezione regionale dell’Inu[21].

Estratto da:

Luigi Falco, «La rivista “Urbanistica” dalla fondazione al 1949», in Urbanistica, nn. 76/77, 1984

 


[1] I quattro temi del congresso sono: «Sistemazione delle città a carattere storico per adattarle alle esigenze della vita moderna»; «Costruzione dei nuovi quartieri alla periferia di centri urbani con speciale riguardo alle città aventi importanza storica e artistica»; «Finanziamenti delle costruzioni per classi medie e popolari con speciale riguardo ai mezzi per ottenere nuovi capitali» e «Case ed appartamenti multipiani nelle grandi città». Cfr.: G. GIOVANNONI, «Il recente Congresso Internazionale dell’abitazione e dei piani regolatori», in L’ingegnere, Il, 1929, p. 666, nel quale l’A. mette anche in risalto il ruolo del Sindacato degli ingegneri e degli architetti nella organizzazione del congresso.

[2] Una ampia rassegna dei piani esposti è contenuta in: C. VALLE, «La prima Mostra nazionale dei Piani Regolatori», in L’ingegnere, Il, 1929; R. PACINI, «La mostra dei Piani Regolatori a Roma», in Emporium, LXXX, 1929.

[3] L. PICCINATO, Il «momento urbanistico» alla Prima Mostra Nazionale dei Piani Regolatori, in Architettura ed Arti Decorative, genn-febb., 1930, p. 200.

[4] Idem, p. 229.

[5] 33 M. SERNINI, «Le circoscrizioni amministrative nella politica di controllo degli insediamenti in Italia dal 1925 ad oggi», in Storia Urbana, n. 6, 1978; ora in A. MIONI (a cura di), Urbanistica fascista, F. Angeli, Milano, 1980, con il titolo Il controllo amministrativo del territorio.

[6] Giustamente Alberto Mioni mette in guardia dal rischio di operare «speri colati distinguo tra urbanisti «buoni» (molti dei quali tuttora viventi) e urbanisti «cattivi» (tutti morti»> quando si parla dell’urbanistica del periodo fascista; il rischio sarebbe determinato dal fare una lettura degli avvenimenti storici fortemente determinata dall’ideologia; cfr.: A. MIONI, «Storia urbana nell’ltalia fascista», in Id., Urbanistica ..op. cit., Milano, 1980, p. Il.

[7] «… come non aver coscienza che la culturadurante il fascismo più che mai fu una cultura separata ma anche disgregata al suo interno? Assecondando una logica di per sé preesistente al fascismo, il regime tatticamente favori in tutti i modi una politica corporativa che esercitò una sua pressione ed un certo sinistro fascino su quel difficile animale che è pur sempre l’intellettuale. Il sindacato degli scrittori, quello degli artisti, degli architetti sanciscono formalmente, in termini burocratici, una politica della cultura che faceva leva sulle separazioni dei ruoli perseguendo il fine strumentale di un più sicuro e diretto controllo». C. DE SETA, «Cultura e architettura in Italia tra le due guerre: continuità e discontinuità», in S. DANESI, L. PATETTA (a cura di), Il razionalismo cit., Venezia, 1976, p. 7.

[8] G. CIUCCI, «L’urbanista negli anni 50: un tecnico per l’organizzazione del consenso», in S. DANESI, L. PATETTA (a cura di), Il razionalismo e l’architettura in Italia durante il fascismo, Ed. La Biennale di Venezia, Venezia, 1976, p. 29.

[9] Cfr.: E. MANTERO, C. BRUNI, «Alcune questioni di pratica professionale durante il fascismo», in S. DANESI, L. PATETTA (a cura di), Il razionalismo .. op.cit., Venezia, 1976.

[10] A. MELIS, «L’urbanismo in Italia e fuori», in Rassegna di Architettura,n.ll,1929, p.426.

[11] 39 M. ROMANO, L’urbanistica in Italia nel periodo dello sviluppo, 1942-1980, Marsilio, Padova, 1980.

[12] A. MELIS, «Presentazione dell’Istituto Nazionale di Urbanistica», in Urbanistica, n. 1, 1932, p. 1. Cfr. inoltre lo statuto dell’Inu che all’art. 1 recita: «Per iniziativa del Comitato organizzatore del XII Congresso Internazionale dell’abitazione e dei Piani Regolatori e con l’avanzo di cassa della gestione finanziaria del comitato stesso è costituito in Roma l’Istituto Nazionale di Urbanistica», «Statuto dell’Istituto Nazionale di Urbanistica», in Urbanistica, n. 6, 1932, p. 18. Si veda inoltre un articolo di Piccinato, che avrebbe però forse potuto essere più utile per le ricerche sul periodo, (L. PICCINATO, «Urbanistica e storia in Italia negli anni trenta» , in Storia delle Città, n. 1, 1976) nel quale l’A. indica come unica giustificazione della fondazione dell’Istituto l’avanzo di cassa.

[13]41 A. MELIS, Presentazione cit., in «Urbanistica», n. 1, 1932, p. 2.

[14] 42 A. CALZA BINI, «Prefazione», in G. GIOVANNONI, Vecchie città ed edilizia nuova, Utet, Torino, 1931, pp. VI-VII.

[15] «Ordinamento della Sezione Laziale dell’Istituto Nazione di Urbanistica», in Urbanistica, n. 2, 1933. Cfr. inoltre: «L’Istituto Nazionale di Urbanistica», in La Proprietà Edilizia Italiana, giugno 1932.

[16] Idem, p. 59. Si noti come qui «tutto ciò che si riferisce a sistemazioni urbane» sia ridotto essenzialmente ad una questione di tutela corporativa dell’urbanista.

[17] 45 L. PICCINATO, «Intorno alla nuova legge sui Piani Regolatori«, in Architettura, fasc. 1, 1932, p. 562.

[18] 46 «Ordinamento.. op.cit.», in Urbanistica, n. 2, 1933, p. 59.

[19] 47 Notizie sono contenute in: La costituzione del Centro Torinese di Studi dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, in Architettura e Arti Decorative, fasc. 111, novembre, 1930.

[20] «Attività della sezione piemontese dell’Istituto Nazionale di Urbanistica», in Urbanistica, n. 1, 1932.

[21] Cfr. la pagina 3a di copertina del n. 1 di Urbanistica del 1932, con le cariche direttive della sezione piemontese: il consiglio direttivo è composto dai presidenti, arch.Armando Melis ed ing. Giovanni Bernocco, segretari dei rispettivi sindacati regionali, e dall’arch. Pietro Betta. Nella stessa pagina sono inoltre indicati i componenti della redazione di Urbanistica ed i collaboratori della rivista.

Al primo numero della rivista la struttura redazionale è la seguente: direttore è l’arch. Pietro Betta; redattori l’arch. Alessandro Molli Boffa e l’ing. Maurizio de Rege di Donato; l’elenco dei collaboratori (in parentesi le rubriche curate) comprende i funzionari delcomune di Torinodott. Paolo Ramello, capo servizio statistica (Amministrazione, finanza, demografia, statistica), l’ing. Guido Peci, capo del servizio tecnologico (Illuminazione, energia), l’ing. Lorenzo Raseri, capo del servizio movimento tranvie municipali, l’ing. Pietro Viotto, sottocapo divisione suolo pubblico (Traffico, circolazione e viabilità) e il dott. Cesare Laudi, capodivisione annona, mercati e licenze commerciali (Annona e mercati); i professori universitari Arnaldo Maggiora Vergano e Francesco Cerutti (Igiene e previdenza sociale) e Antonio Fossati (Economia, industria e commercio, politica fondiaria); i professionisti arch.Annibale Rigottied ing.Giorgio Rigotti(Piani regolatori ed edilizia, opere pubbliche), arch. Arturo Midana e ing.ri Giacinto Soldati e Giorgio Dardanelli (Acquedotti e fognature), dott. Giuseppe Melano (Legislazione e giurisprudenza) e ing. Costantino Costantini (Educazione fisica).