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Giovanni Astengo

Giovanni Astengo (Torino, 13 aprile 1915 – San Giovanni in Persiceto, 26 luglio 1990). Architetto e professore universitario di urbanistica, Medaglia d’oro delle Arti e delle Scienze del Ministero della Ricerca scientifica e dell’università.

È stato presidente onorario dell’Inu dal 1986 al 1990, e tesoriere dal 1952 al 1956. Ha rifondato la rivista Urbanistica dell’Inu del 1949, di cui è stato redattore capo dal n. 1 al nn. 10-11 del 1952; e poi direttore fino al n. 67 del 1977.

Nasce da una famiglia di industriali, primo di due figli. Dopo la maturità classica frequenta la Facoltà di architettura, dove si laurea nel 1938 con il progetto di un museo per la città, elaborato sotto la guida di Giovanni Muzio e dove fin dal 1943 avvia la sua attività universitaria. Dall’immediato dopoguerra egli è attivo nell’ambiente culturale e politico della città, partecipando al dibattito disciplinare e impegnandosi per riallacciare rapporti tra gli esponenti della comunità scientifica e per “una valida, intelligente e fraterna azione di gruppo”. È infatti tra i fondatori del Gruppo architetti moderni torinesi Giuseppe Pagano – che nel 1947 diverrà sezione regionale dell’Associazione per l’architettura organica – ed attivo per la ricostituzione della sezione piemontese dell’Istituto nazionale di urbanistica, della quale Armando Melis continua ad essere figura di spicco.

Il suo primo importante lavoro in campo urbanistico è lo studio per il Piano regionale del Piemonte, elaborato con Mario Bianco, Nello Renacco e Aldo Rizzotti, con i quali aveva fondato il gruppo Abrr. Questo piano viene elaborato con l’intento di inserire la ricostruzione della città di Torino nell’ambito di una più organica pianificazione territoriale e con l’obiettivo di mostrare come si sarebbe potuto avviare, cogliendo l’occasione della ricostruzione, un vero processo di riorganizzazione urbanistica del paese. Questo studio suscita un grande interesse nell’ambiente disciplinare, anche grazie alle numerose e prestigiose occasioni nelle quali viene presentato, ad esempio all’Esposizione internazionale dell’urbanistica e dell’abitazione di Parigi.

Nel 1946 il gruppo Abrr viene incaricato dal ministro dei Lavori pubblici Cattani di organizzare una commissione di studio per I’avvio della pianificazione territoriale in Italia, e nel 1948 dal ministro Tupini della redazione di un vero Piano territoriale per il Piemonte. Questi progetti non giungeranno a una conclusione, ma i rapporti con il ministero dei Lavori pubblici sul tema della pianificazione regionale si concretizzano successivamente, quando, tra il 1952 e il 1953, il ministero promuove la pubblicazione del testo I piani regionali. Criteri di indirizzo per lo studio dei Piani territoriali di coordinamento in Italia. Astengo si occupa in particolare del secondo dei due volumi che assume le caratteristiche di una sorta di manuale e dove egli espone dettagliatamente argomenti, modi e tecniche di rappresentazione delle analisi necessarie a redigere i piani di scala territoriale; nell’introduzione formula in modo limpido la sua idea di “metodo scientifico” per la redazione dei piani urbanistici. La convinzione che l’urbanistica sia una disciplina dalla natura etico-politico lo spingerà lungo tutta la sua attività a porre grande attenzione alle procedure razionali nella costruzione del piano, le sole per lui in grado di limitare il “libero arbitrio” e condurre l’urbanista a individuare le scelte “giuste” per l’intera collettività. L’impegno verso i problemi della sua città, evidente anche in numerosi scritti, era intanto proseguito nel 1947 con la partecipazione al concorso per il Piano regolatore. II progetto, elaborato con Renacco e Rizzotti e classificatosi primo ex aequo, propone uno sviluppo lineare di Torino, già ipotizzato nel piano piemontese, con l’intento di suggerire un’alternativa chiara ai modi che la crescita urbana andava assumendo.

Nel 1950 l’incarico in qualità di capogruppo della progettazione del quartiere Ina-Casa Falchera sembra dargli finalmente l’occasione di sperimentare la sua idea di espansione di Torino, articolata in unità organiche poste lungo un “nastro produttivo padano”. II quartiere resterà episodio unico di quell’ipotesi, ma sarà considerato dalle storie disciplinari uno dei più importanti esempi di quartieri realizzati in Italia negli anni Cinquanta.

Il congresso nazionale dell’Inu del 1948, svolto a Roma in Campidoglio, rappresenta una importante occasione per Astengo, in primo luogo per la sua carriera universitaria, infatti Giuseppe Samonà lo invita a trasferirsi all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove insegnerà ininterrottamente per trentasei anni. Inoltre, in quel congresso, l’Inu decide di riavviare con modalità nuove la pubblicazione della rivista Urbanistica, della quale Astengo diventa dapprima redattore capo, poi direttore in seguito alle dimissioni di Adriano Olivetti, divenuto nel frattempo presidente dell’Istitúto. Dirigendo la prestigiosa rivista, per più di trent’anni, dal 1952 al 1977, Astengo potrà esprimere il suo programma di ricerca per l’urbanistica italiana attraverso la selezione dei temi da trattare, nell’organizzazione di studi e inchieste, nell’illustrazione di piani e politiche realizzati in Italia e in Europa. Da Urbanistica egli può rivolgersi alla comunità scientifica, ma anche, e più in generale, agli uomini di cultura, agli amministratori, ai politici, per allargare l’interesse verso la disciplina, diffonderne i risultati, promuovere l’evoluzione degli strumenti legislativi, elevare il livello dell’informazione sullo stato del territorio.

Con la nomina da parte dell’Inu, in rappresentanza dell’Italia, nel Bureau de la Fédération internationale pour I’habitation, l’urbanisme et l’aménagement des territoires, avvenuta nel 1954, Astengo avvia in modo istituzionalizzato il lungo rapporto che lo legherà alla comunità internazionale degli urbanisti, potendo così approfondire e rafforzare il suo interesse per i modi di praticare la disciplina al di fuori dell’Italia.

A quarant’anni, con il primo incarico per la redazione di un piano regolatore, quello di Assisi, inizia una fase centrale dell’attività di Giovanni Astengo, che può dirsi conclusa con l’esperienza del piano di Bergamo. In questi anni di intenso lavoro professionale, ma anche di elaborazione e verifica della sua teoria urbanistica, in particolare dell’idea di piano, il suo impegno viene riconosciuto dalla comunità scientifica, con il conseguimento della cattedra universitaria, il coinvolgimento nelle istituzioni, i premi. Questi sono anche anni difficili, segnati da rapporti contrastati con le amministrazioni pubbliche per le quali lavora e che producono in lui cocenti delusioni, non in grado però di minare le sue convinzioni intellettuali né il suo coerente stile di vita. L’incarico ad Assisi è del 1955. Astengo si mette al lavoro con foga, prende casa nella cittadina umbra e costituisce l’Ufficio di piano con il quale, in poco più di due anni, elabora un solido apparato conoscitivo, il Prg e due piani particolareggiati per la città storica e per l’espansione fuori Porta Capuccini. II Prg viene adottato nel ’58 ma in breve tempo matura in città un clima ostile al piano che viene annullato l’anno successivo, con l’accettazione da parte del consiglio comunale di tutte le osservazioni allo strumento urbanistico. La difficile vicenda, che trasforma questo piano in una “bruciante sconfitta”, non impedisce ad Astengo di parlarne nel tempo come di un momento fondamentale e “ineguagliabile” della sua attività. La rilevanza assunta dal piano anche nell’urbanistica italiana è sottolineata dalla storiografia successiva e dai riconoscimenti che l’urbanista torinese riceve per questo lavoro: il premio Olivetti del 1958 e tre anni dopo il premio regionale dell’Inarch-Umbria. L’esperienza di Assisi troverà una più soddisfacente conclusione dieci anni dopo, quando nel 1965 gli verrà affidato un nuovo incarico per il piano regolatore.

La sua attività in Umbria nel frattempo era proseguita e dal 1956 egli è impegnato nella redazione del piano regolatore di Gubbio. La situazione qui sembrava presentarsi come una sorta di contraltare rispetto alle difficoltà di Assisi, ma anche Gubbio riserverà ad Astengo complicazioni ed amarezze, fino al suo rinvio a giudizio per presunte irregolarità nella procedura di redazione del piano. Prosciolto da ogni accusa, egli ricostruirà meticolosamente la vicenda nel libro Giovanni Astengo urbanista sotto accusa a Gubbio del 1968. Il suo soggiorno a Gubbio aveva visto nel settembre del 1960 un momento di felici coincidenze: la presentazione del piano in consiglio comunale e lo svolgimento del primo Convegno nazionale sulla salvaguardia e il risanamento dei centri storico-artistici che si conclude con la fondazione dell’Associazione nazionale centri storico-artistici, della quale nel 1962 Astengo sarà vicepresidente.

L’incontro nazionale era stato da lui organizzato e inaugurato dal ministro dei Lavori pubblici Zaccagnini nella più vasta cornice della riforma della legge urbanistica, che in quei mesi stava prendendo corpo grazie all’Istituto nazionale di urbanistica. L’incarico da parte dell’Inu di studiare, dapprima con Giuseppe Samonà poi con una commissione più allargata, la proposta di un Codice dell’urbanistica, porta Astengo a concretizzare il suo interesse per il rinnovamento legislativo del Paese. Tra il 1961 e il 1964 farà parte, come rappresentante dell’Inu, con Piccinato e Samonà, anche delle diverse Commissioni per lo studio della riforma urbanistica istituite dal Ministero dei Lavori pubblici. L’alternarsi di speranza e delusione per una diffusa redazione di piani regionali, intercomunali e comunali, per la preparazione di una organica legge urbanistica e per una nuova disciplina delle aree è ben rappresentata dal ritmo dei suoi editoriali di quegli anni sulla rivista Urbanistica.

Nel 1962 Astengo torna a lavorare a un progetto urbano per la sua città, partecipando al concorso per il centro direzionale di Torino dove si classifica al terzo posto. L’attività urbanistica prosegue intanto con l’incarico per il piano regolatore di Genova, dal quale avrà origine un altro complesso rapporto con un’amministrazione pubblica. La decisione di intraprendere la revisione del piano e di affidarlo a un professionista attivo per le riforme e impegnato politicamente nelle file della sinistra del partito socialista, nasce dal clima politico creatosi con l’avvio dell’esperienza del governo di centro-sinistra. Astengo coordina una commissione composta da Robert Auzelle, Mario Coppa, Ezio Cerutti, Eugenio Fuselli, con la consulenza della Somea, La fiducia nei modelli matematici per rappresentare e programmare le trasformazioni territoriali, diffusa in quegli anni tra gli urbanisti, e i suoi riferimenti europei, ad esempio la Polonia, inducono Astengo a utilizzare il metodo di calcolo economico messo a punto dall’economista francese Jacques Lesourne, per valutare diverse alternative di sviluppo dell’area genovese. I contrasti tra l’Amministrazione e i tecnici della commissione sui modi di procedere nella redazione del piano e cambiamenti nelle condizioni che avevano portato all’incarco determinano, alla fine del 1965, la revoca del mandato ad Astengo e agli altri consulenti.

Alcuni mesi prima di questa infelice conclusione, egli era stato incaricato da un’altra amministrazione di centro-sinistra, quella del Comune di Bergamo, di redigere con Luigi Dodi il nuovo piano regolatore: finalmente un piano non segnato da contrasti. Anche qui il piano elaborato da Astengo si basa su un processo deduttivo strutturato per successive fasi, ciascuna “collettivamente” verificabile attraverso il metodo matematico. L’intento di Astengo è ancora una volta quello di superare la dimensione soggettiva della valutazione e di trasformare il piano in trasparente atto comunicativo in grado di organizzare il processo partecipativo e di realizzare il confronto democratico.

È della seconda metà degli anni Sessanta la sua prima esperienza come amministratore pubblico. Astengo, convinto della necessità di un “innesto” dell’urbanistica nella politica per guadagnare spazio non solo alla disciplina, ma più complessivamente alla sfera pubblica nel governo del territorio, dopo che nel 1964 era stato eletto nelle liste del Psi nel consiglio comunale di Torino (dove sarà presente fino al 1975), nel 1966 viene nominato assessore alla Pianificazione urbanistica nella Giunta di centro-sinistra. Nel breve periodo del suo assessorato (nell’ottobre del 1967 si dimette in seguito ai fatti di Gubbio) avvia la revisione del piano regolatore della città e gli studi per quello intercomunale.

Il 1966 è un anno importante per Astengo, non solo per gli incarichi amministrativi e per la sua impegnata voce enciclopedica «Urbanistica», ma anche perché ottiene la cattedra universitaria e viene nominato in una commissione istituita dal ministro dei Lavori pubblici Mancini, in seguito alla frana di Agrigento del 19 luglio. Questa, prima che esperienza urbanistica, si rivela per lui occasione di impegno civile che qualche anno dopo ricorderà come “la più forte emozione e la più straordinaria tensione morale che abbia finora provato”.

Sul finire degli anni Sessanta Astengo è impegnato anche all’estero: su incarico della Comunità economica europea lavora a un’ipotesi di sviluppo economico e territoriale per Mogadiscio; dal 1969, per una decina d’anni, è consulente del piano per l’area metropolitana di Ankara.

All’inizio degli anni settanta la sua attività professionale prosegue con la nomina nella Commissione per la revisione del piano regolatore di Firenze e con l’incarico a Pavia, assieme a Giuseppe Campos Venuti, per la redazione del piano regolatore, del piano dei servizi, del piano per l’edilizia economica e popolare e di quello per gli insediamenti produttivi.

Gli anni Settanta rappresentano secondo alcuni autori un momento di “minimo relativo” per la “fortuna” di Astengo e per il successo delle sue posizioni intellettuali. Questa ipotesi è per certi versi condivisibile, tuttavia in questo stesso arco di tempo egli riesce a concretizzare importanti risultati, soprattutto dal punto di vista istituzionale: una scuola per la formazione degli urbanisti, l’amministrazione di un territorio regionale, una legge urbanistica, una vasta operazione conoscitiva sullo stato del territorio e della pianificazione.

Nel 1970  l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia avvia il Corso di Laurea in Urbanistica – del quale Astengo è da subito presidente – a conclusione del dibattito che nella scuola veneziana si era sviluppato sulla necessità di uno specifico corso di studi per la formazione di una figura di urbanista pianificatore con competenze proprie e diverse da quelle dell’architetto.

La sua idea di un urbanista al servizio della pubblica amministrazione viene ulteriormente ribadita a metà degli anni Settanta, quando, con le elezioni del 1975, è nominato assessore alla Pianificazione e gestione urbanistica del Piemonte. II nuovo impegno di amministratore sarà ancora da lui interpretato come quello di un tecnico prestato alla politica, nella convinzione che il compito del tecnico-urbanista sia quello di seguire il piano, lungo il suo articolato percorso di costruzione, dagli obiettivi fino alle soluzioni e viceversa. Nei cinque anni della sua amministrazione promuove la redazione della legge regionale Tutela ed uso del suolo n. 56 del 1977 e il Rapporto sulla pianificazione e gestione urbanistica in Piemonte, oltre a riorganizzare le strutture tecniche dell’assessorato e le competenze urbanistiche e a favorire una fitta elaborazione di piani regolatori nella regione.

Sulla scia del rapporto piemontese, nel 1980 Astengo avvia la ricerca nazionale Rapporto sullo stato dell’urbanizzazione in Italia e sulle politiche urbane e territoriali per gli anni ’80, come contributo ai lavori del gruppo dell’Ocse sui problemi urbani del quale fa parte. Con questa “grande macchina di ricerca”, che interessa l’intero territorio italiano, egli intende perseguire un ambizioso progetto: la costruzione di una sorta di atlante che colmi il vuoto conoscitivo sull’entità del consumo di suolo in Italia.

II congedo dall’insegnamento universitario a metà degli anni Ottanta non coincide con l’interruzione della sua attività; infatti Astengo lavora ancora intensamente e la sua fortuna professionale torna a crescere. Si impegna soprattutto per piani di area vasta nei quali elabora ipotesi di pianificazione di tipo “strutturale” che, fin dal piano di Bergamo, ha avuto come modello l’ordinamento della pianificazione inglese e francese. Sono di questi anni gli schemi strutturali per i comprensori trentini della Valle dell’Adige, della Valsugana e della Val di Non.

Dopo l’attenzione dedicata nel corso della sua attività alle regioni Piemonte e Umbria, sul finire del decennio Astengo instaura un rapporto privilegiato con la Toscana. Nel 1985 la Regione lo incarica della redazione dello Schema Strutturale per l’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia, nel 1986 diviene consulente per il piano di Pistoia, gli viene affidato il coordinamento, con Luigi Airaldi, dei piani urbanistici dell’area pisana e, con Giuseppe Campos Venuti, la Valutazione di impatto ambientale dell’autostrada Livorno-Civitavecchia, per il tratto che interessa il comune di Pisa.

Nel 1987 il Comune di Pisa lo incarica della revisione del Prg e, nel maggio dello stesso anno, anche la vicenda del piano di Firenze trova una soluzione con la presentazione al consiglio comunale del Progetto preliminare.

Negli ultimi anni della carriera Astengo assiste al riconoscimento del suo ruolo nella costruzione dell’urbanistica italiana con l’assegnazione della Medaglia d’oro come emerito delle arti e delle scienze da parte del Ministero della Ricerca scientifica e dell’università, con la nomina a presidente onorario dell’Istituto nazionale di urbanistica nel 1986, con la Laurea ad honorem in Pianificazione territoriale e urbanistica dell’Università degli studi di Reggio Calabria nel 1990.

Le ragioni della rinnovata fortuna dipendono non soltanto dall’essere egli l’ultimo tra coloro che vengono riconosciuti come “maestri” dell’urbanistica italiana del dopoguerra, ma dalla sua viva e intensa attività urbanistica e dal suo essere ancora presente nel dibattito disciplinare degli anni Ottanta, spinto dalla convinzione che occorra “cambiare le regole per innovare”.

In uno dei suoi tanti viaggi dalla Toscana verso Venezia, dove oramai risiedeva, colto da un grave malore sul treno, muore a San Giovanni in Persiceto il 26 luglio del 1990.

Giovanni Astengo ha lasciato un libro non concluso, al quale stava lavorando nell’ultimo periodo, una sorta di “autobiografia scientifica” dal significativo titolo L’utopia inseguita. Verso la fine, egli riconosce al suo cinquantenario lavoro di urbanista un carattere utopistico. Come un utopista infatti non si è mai rassegnato a considerare definitiva la realtà urbana e sociale e ha continuato a prefigurare un ambiente diverso e migliore e da urbanista ha studiato i metodi per realizzarlo. In una lezione del 1984 sulle “sue” idee di città, Astengo affermava: «Da recidivo utopista quale mi onoro di essere auguro a me e a voi tutti, che […] la vis creandi non abbia a venir meno nella progettazione urbanistica e che le idee per la città tornino ad essere, come ai tempi delle libertà comunali, al centro degli interessi comunitari. Altrimenti, chi ci, vi, salverà dalla noia infinita delle città senz’anima e senza idee per il futuro?».

Da:
P. Di Biagi, «Giovanni Astengo 1915-1990», in Ministero dei Lavori pubblici, Le sculture di Paolo Borghi omaggio agli urbanisti del novecento, Roma 2001