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La Città Metropolitana di Bari punta sulla dimensione strategica. Parla Francesca Calace

20/04/2023

Il ciclo di articoli di approfondimento sui percorsi dei piani territoriali metropolitani, dopo Milano, Napoli, BolognaTorino e Firenze, prosegue con la situazione di Bari. Si esamina in questo caso la circostanza di non aver avviato, fino a questo momento, la redazione del Ptm. Francesca Calace, vicepresidente della sezione Puglia dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, spiega che la Città Metropolitana di Bari “ha lavorato molto su altri fronti. È impegnata sin dalla sua fondazione nella costruzione del Piano strategico: si tratta di un processo incrementale che si è strutturato e poi arricchito negli anni di nuove iniziative e contributi. Penso al Bando periferie, all’Agenda per lo sviluppo sostenibile, al Pums e al Biciplan metropolitano. L’approccio è sempre stato quello di dedicarsi al supporto strategico dei Comuni per la realizzazione dei propri progetti di sviluppo”.

Sebbene sia inevitabile che anche in questo percorso trovino spazio contenuti e indirizzi di carattere spaziale, finora la dimensione territoriale in senso stretto non è decisamente al centro del lavoro e dei processi promossi dalla Città Metropolitana. La vicepresidente di INU Puglia nota tratti di continuità rispetto al passato per “una mancanza di tradizione nel campo della pianificazione territoriale. La provincia di Bari non ha mai avuto un Piano di coordinamento, e probabilmente questo ha influito sul fatto che non si avvertisse la necessità di dotarsi di uno strumento di tipo territoriale. A sua volta si può ipotizzare che questo sia dovuto anche alle caratteristiche intrinseche di un sistema in cui, rispetto alle altre aree metropolitane, una scarsa gerarchizzazione e la presenza di molti comuni di grandi dimensioni, ricchi di storia e dai profili autonomi, hanno reso più complicato per la Provincia esercitare la sua funzione di coordinamento”.

Al contrario la pianificazione strategica un trascorso di peso lo annovera, spiega Calace: “Già venne utilizzata nell’ambito della programmazione comunitaria 2007 - 2013, sebbene fosse stata impostata in modo piuttosto istituzionale, per orientare le risorse. Si è quindi rafforzata nel tempo l’idea che queste si potessero allocare senza un riferimento territorializzato per le politiche. La tendenza, se si è formata nella gestione dei fondi europei, si è ulteriormente consolidata quando si è affacciata la necessità di intercettare e spendere in modo rapido i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Detto questo, non si può che rilevare che la Città Metropolitana sia molto proattiva, è tutt’altro che carente di impegno e iniziative. Di certo ha un approccio molto operativo, improntato a intercettare le risorse e redistribuirle tra i Comuni, anche con il loro coinvolgimento, sulla base degli obiettivi assunti dal Piano strategico in itinere. Tuttavia l’assenza della pianificazione territoriale deve far riflettere perché mancano – è strano a dirsi - una conoscenza profonda del territorio, una lettura organica e integrata delle sue fragilità, un sistema di scelte pianificatorie basate su una visione esplicita e condivisa. Quella veicolata dal piano strategico è molto ampia, con obiettivi e parole chiave piuttosto larghi, che consentono una ampia libertà applicativa; se ciò può sembrare oggi un vantaggio, non consente di perseguire la coerenza, le sinergie e il valore aggiunto che la pianificazione territoriale può garantire. Va peraltro considerato – e auspicato – che, oggi, il metodo di lavoro condiviso messo a punto tra i Comuni potrebbe essere la chiave di volta per avviare un processo di pianificazione territoriale collaborativo ed efficace”.

 


Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica