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Cosa rimane di Matera capitale europea della cultura?

05/03/2020

L’anno scorso è stato quello di Matera capitale europea della cultura. Un evento lungo un anno, un riconoscimento prestigioso che ha senza dubbio portato entusiasmo e occasioni di visibilità a un territorio che nei decenni passati è stato accostato, al contrario, alla povertà e al degrado. Tante volte per porre enfasi sul riconoscimento si è utilizzata la parola “riscatto”. Trascorso il 2019, si può cominciare a parlare di bilancio, ma non tanto nei termini consueti della conta di visitatori, quanto piuttosto in quelli dell’eredità che Matera 2019 ha portato al territorio. C’è stato sviluppo? Cosa si è fatto per la realizzazione di quelle che ne sono le portatrici per eccellenza, le infrastrutture, sia materiali che immateriali?

Lorenzo Rota, membro effettivo dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, già presidente della sua sezione lucana e oggi presidente dell’associazione culturale Centro Carlo Levi, porta una lettura critica: “E’ stata indubbiamente una grande festa di popolo che ha visto al suo centro tantissime attività culturali, alcune anche di altissimo livello. Purtroppo si è trattato troppo spesso di iniziative importate: si è finito con il trascurare il patrimonio culturale di Matera e della Basilicata. Si è puntato sull’internazionalizzazione degli ‘eventi’, più che sugli investimenti per la valorizzazione del complesso patrimonio culturale materano, sull’abbrivio dello slogan: ‘Dimenticare Levi ed Olivetti’ (Paolo Verri, direttore della Fondazione Matera-Basilicata/2019); il risultato è che oggi, ad eventi esauriti, non risulta rafforzata la struttura dell’offerta culturale della città (e della regione), nella misura necessaria a sostenere il ruolo di ‘Matera – città culturale’, sbocco naturale per una città che della cultura è stata capitale europea”. A titolo esemplificativo Rota racconta l’esperienza della proposta di una mostra sull’architettura e l’urbanistica del ‘900 a Matera, ed in particolare sul “laboratorio” del secondo dopoguerra, che non è stata accolta dalla Fondazione. Rota spiega: “La dice lunga, poteva essere l’occasione per spiegare ai visitatori perché si stavano riversando su Matera, le ragioni storiche e culturali di quel riconoscimento. In più avrebbe rappresentato il punto di partenza per un museo del territorio, per un’infrastruttura culturale che sarebbe rimasta anche per il futuro”. Occasione persa. In compenso l’associazione presieduta da Rota ha saputo organizzare nel 2019, in autonomia, una interessante mostra su un inedito Carlo Levi “disegnatore politico”, con un buon successo, tanto da essere replicata in questi giorni a Roma.

Per quanto riguarda il discorso sulle infrastrutture più “tradizionali” è Francesco Scorza, attuale presidente di Inu Basilicata, a tirare le somme di Matera 2019: “Poteva essere l’occasione di vedere la fine di tanti discorsi infrastrutturali che riguardano Matera, ma così non è stato. Certo, ci sono delle eccezioni, penso al campus universitario realizzato riqualificando il vecchio ospedale, o alla stazione di Stefano Boeri, sebbene si sia aperto un dibattito acceso sulla necessità di quell’intervento in quella specifica parte della città”. Scorza intravede nell’occasione mancata un “più” di gravità che deriva dal modello di sviluppo intrapreso dal territorio, a suo avviso la strada sbagliata: “Matera cresce, ma si sta costruendo troppo”. Sul punto Lorenzo Rota parla di un “sovraccarico urbanistico in una città che già soffre tanto, e dove il Regolamento che sta per essere approvato non affronta le questioni fondamentali”.

Scorza spiega: “Non dobbiamo dimenticarci che la Basilicata è afflitta dal problema dello spopolamento. Non sarebbe valsa la pena, avvantaggiandosi del peso specifico che la città di Matera ha acquisito dal punto di vista culturale, fare della Basilicata il laboratorio nazionale del riuso e della rigenerazione urbana finalizzato a forme sostenibili di uso del territorio? L’unica carta dello sviluppo urbano non può essere l’incremento volumetrico. Viceversa una scelta improntata al riuso potrebbe essere sostenuta attraverso gli strumenti di un’urbanistica lungimirante. Ma non lo si sta facendo, a Matera come nemmeno a Potenza”.  Invece, prosegue il presidente di Inu Basilicata, “oggi Matera guarda al turismo come unica chance, ma è sbagliato e rischioso, è una possibilità volatile e lo si sta vedendo in questi giorni di emergenza coronavirus”. L’unico asse infrastrutturale, e conseguentemente l’unica piattaforma territoriale, che sembra avere beneficiato di Matera 2019 è quello, riflette Scorza, che parte dalla città lucana per arrivare a Bari, “perché la Puglia ha investito sulle infrastrutture stradali di collegamento, sull’aeroporto di Bari Palese e sull’organizzazione dei servizi per la mobilità. Mentre è rimasto il problema di migliorare l’organizzazione del trasporto e dell’accessibilità con l’altro lato del territorio, la parte che da Matera guarda a Potenza e dunque alla Campania”.

Lorenzo Rota a proposito di collegamenti sottolinea il paradosso della stazione realizzata a Matera (quella citata, di Boeri) “ma senza l’adeguamento dell’infrastruttura (a scartamento ridotto), e per di più stravolgendo la pianificazione urbanistica in quella parte di città: il Centro Civico della città del 3° millennio”. Guardando al ferro, infatti, il grande deficit di Matera è il mancato collegamento alla rete ferroviaria nazionale. Rota racconta che “per reclamare attenzione dei decisori pubblici su questo argomento, un gruppo di cittadini si è costituito in comitato, ed è riuscito a far finanziare (200 milioni circa) il completamento della tratta (già realizzata all’80%) che collega Matera alla ferrovia Salerno-Potenza-Taranto”. I lavori inizieranno il prossimo anno.

Andrea Scarchilli – Ufficio stampa Istituto Nazionale di Urbanistica